“Non si può parlare di ‘dignità’ del lavoro quando si boccia l’articolo 18 e si reintroducono i voucher. Il decreto, che pure era nato con alcune parole d'ordine condivisibili, mostra oggi la distanza fra la propaganda elettorale dei mesi scorsi e le decisioni reali. Forse sarebbe più opportuno chiamarlo decreto Di Maio”. A dirlo è la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti ai microfoni di RadioArticolo1 nel commentare il provvedimento che sta per essere approvato in via definitiva dal Parlamento.

“La bilancia – osserva l’esponente della Cgil – pende decisamente dalla parte delle preoccupazioni e delle negatività per alcune semplici ragioni. Intanto, non è con un singolo intervento che si può pensare di riequilibrare il rapporto di forza tra lavoratori e datori. L’abbiamo detto fin dall'inizio: il segnale sui tempi determinati è importante e condivisibile e lo difenderemo, anche se non è abbastanza coraggioso. Però serve una coerenza e una visione complessiva. Perché, per esempio, non sono stati accettati gli emendamenti per contrastare l'abuso di tirocini? Perché non si fanno gli stessi ragionamenti sulle false partite Iva e sul finto lavoro autonomo? Forse non possiamo avere tutto in un unico decreto, ma altrettanto non si può dire che si è smontato il Jobs Act, perché non è così”.

Nel decreto c’è anche un intervento sulle delocalizzazioni. “Anche questo – sottolinea Scacchetti – è condivisibile sulla carta, ma è poco utilizzabile perché non accompagnato da un sostegno sociale, cioè dalla reintroduzione degli ammortizzatori necessari. E poi non si ragiona su quello che rimane nel territorio”. In generale, osserva l’esponente della Cgil comprendendo nel ragionamento anche i voucher, “prevale nel governo un’idea sbagliata su come affrontare la competitività. Temo che ci sia una spinta che viene da un pezzo consistente del nostro sistema delle imprese ed è un campanello d’allarme molto negativo per le possibili scelte future”.