La variazione trimestrale del Pil italiano è dello 0,2%, esattamente uguale all'aumento del trimestre precedente e a quello di due trimestri fa. Uno “zero virgola” strutturale, quindi, che dimostra la stagnazione del nostro paese e l'assenza di strategie adeguate per cambiare rotta. “La manovra all'esame di Montecitorio, tra l'altro, prevede appena un punto percentuale di crescita, ed è molto ottimistica, e ovviamente irrealistica come tutte quelle realizzate finora dall'esecutivo italiano”. A dirlo, ai microfoni di RadioArticolo1, è Riccardo Sanna, coordinatore dell'Area politiche di sviluppo della Cgil.

Purtroppo - ha continuato Sanna - questo significa che non possiamo aspettarci una crescita di più di un punto percentuale di Pil per quest'anno e anche per gli anni a venire. Il problema, però, è che questa crescita minima verrà determinata ancora una volta da un'idea di competitività trainata dalle esportazioni verso Medio Oriente e Sud-est asiatico. Il tutto, in un commercio mondiale che continua a rallentare ed è 'inelastico' rispetto alla crescita. Quindi la previsione del governo non viene determinata da un'azione di politica economica e da un cambio di rotta, ma è in totale continuità con le politiche che hanno finora abbattuto la crescita”.

Il governo afferma che la Manovra potrebbe riportare il deficit italiano entro il famoso pareggio di bilancio nel 2018-2019. Ma, secondo il coordinatore dell'Area politiche di sviluppo della Cgil, “più si continuano a ridurre i margini di espansione dell'economia e ci si preoccupa dei nostri conti pubblici in rapporto alla stabilità dei mercati finanziari, e più s'abbatte il potenziale di crescita di occupazione”. Invece, più lavoro c'è nel Paese, più il sistema economico e produttivo tende a investire e a innovare, e quindi cresce: “Se questo teorema viene rovesciato, però, ci troveremo di nuovo con l’Istat che attesta che i disoccupati effettivi sono almeno 6 milioni e quattrocentomila, ben oltre le statistiche ufficiali sulla disoccupazione”.

Sempre secondo l'Istat, tra l'altro, il lavoro povero è in costante aumento. “In realtà, salari reali stanno aumentano solo grazie alla contrattazione collettiva - afferma Sanna -. Tuttavia non crescono i redditi delle famiglie, perché nelle famiglie c'è sempre un disoccupato, un sotto-occupato o un precario. L'Istituto di statistica ha tracciato 9 profili economici dei nuclei familiari italiani, che possiamo tranquillamente chiamare classi sociali, e che delineano un paese frammentato, diseguale e disunito. Da questa mappatura si ricava una fotografia nitida della povertà nel nostro Paese. Ad essere poveri, infatti, non sono solo i disoccupati, ma anche i lavoratori. C'è una classe definita dall'Istat blue collar, che in realtà è povera e non arriva alla fine del mese. Nel caso dei giovani, soprattutto, abbiamo un'impressionante incidenza di persone under 35 che non riescono a sopravvivere”.

Su questo fronte, infine, il Jobs act ha evidentemente fallito. Lo ha certificato anche l'Inps, dimostrando come dopo la fine degli incentivi si sia creato meno lavoro a tempo indeterminato di quanto non se ne creasse prima delle sovvenzioni. “La Cgil l'aveva detto e ridetto - ha concluso Sanna -. Già prima della crisi, in Italia si parlava di declino e di assenza di investimenti e di innovazione. La stragrande maggioranza dei nuovi lavori, in realtà, è stata creata per effetto del cosiddetto decreto Poletti, che liberalizzò il lavoro a termine. Poi è stata messa una pezza con gli incentivi, che hanno accompagnato la deregolazione del lavoro, ma senza una crescita sostenuta dagli investimenti. Il mercato del lavoro, in questo modo, è stato semplicemente 'drogato'”.