Quello che sta succedendo all'Ilva di Taranto mette a rischio il futuro siderurgico del paese e quindi il rilancio dell'economia costruito su fondamenta solide. In ballo, però, non c'è soltanto l'occupazione di migliaia di lavoratori, ma anche la salute dell'intera cittadinanza. 
Il decreto ministeriale sul processo di ambientalizzazione non soddisfa il sindacato, che ha ottenuto dei tavoli di confronto importanti, per rivedere sia l'ambientalizzazione sia il piano industriale vero e proprio. Ma il presidente della regione Emiliano ha fatto ricorso al Tar, mentre il ministro Calenda ha congelato la trattativa. A rimetterci, in ogni caso, sembrano essere di nuovo i lavoratori e i cittadini.

“Il problema è complesso, perché attraverso questa vicenda passa il tema del modello industriale che questo paese si può dare. Sono questioni serissime, ma si continua a ragionare sempre su una contrapposizione che non è più possibile tra lavoro, ambiente e salute”. A dirlo ai microfono di RadioArticolo1 è Pino Gesmundo, segretario generale della Cgil Puglia.

Taranto è una città martoriata da anni. Anni nei quali è successo di tutto, all'interno della fabbrica dove sono state violate le più elementari norme di sicurezza. E anche fuori, perché non si è pensato alla salute dei cittadini – continua Gesmundo –. Sono ormai passati 5 anni dalla vicenda Riva, ma ancora oggi purtroppo c'è uno scontro in atto. Questa vicenda parla di lavoro, di sicurezza, di ambiente e di un modello di sviluppo non solo tarantino, ma di tutto il Paese. Nel paradigma Taranto, infatti, passa anche il tipo di modello di politica industriale che le istituzioni nazionali vogliono darsi. Stiamo parlando di un colosso che va salvaguardato, anche se non si può certo prescindere dalle strutture ambientali”.

La Fiom e la Cgil sono infatti al fianco non solo dei lavoratori, ma anche della cittadinanza tutta. I due sindacati si sono costituti parte civile nel processo “Ambiente svenduto”. “Questa è stata la nostra visione da subito, il nostro impegno costante – afferma il segretario generale della Cgil pugliese – per provare a tenere insieme le esigenze della fabbrica e i diritti dei cittadini. Abbiamo provato a ragionare con la regione Puglia per ottenere un sistema di prevenzione sul territorio. Ma ci siamo scontrati con le dinamiche politiche all'interno del partito di maggioranza, e con i contrasti istituzionali tra ministro, regione e sindaco. La Cgil sta provando a dire a tutti che non è il momento di risolvere i problemi in tribunale, e chiede alla regione e al comune di ripensare l'impugnativa al Tar. Chiediamo, però, anche al governo nazionale di considerare che il sindaco e il governatore devono giocare un ruolo di maggior coinvolgimento rispetto alle scelte che si vanno assumendo per la città. Non vorremmo che fosse tutto legato a interessi di politica elettorale, piuttosto che allo sviluppo vero di Taranto”.

Il 28 novembre scorso, al tavolo di confronto al Mise, tra l'altro, la Cgil aveva ottenuto che la copertura dei parchi minerari fosse anticipata al 2018. E che la cordata acquirente ArcelorMittal mettesse sul tappeto un miliardo e 200 milioni per anticipare e avviare da subito l'ambientalizzazione. “Ora – spiega Gesmundo – dobbiamo provare a scongiurare l'ipotesi che l'acquirente perda interesse per l'Ilva e per Taranto. Stiamo parlando di 15 mila lavoratori, e stiamo rischiando di perdere la siderurgia in Italia. Se saltasse la trattativa, però, neanche l'ambiente ci guadagnerebbe. Le due cose sono legate. Dobbiamo conoscere finalmente il piano industriale, il progetto per la fabbrica, le prospettive e la gestione delle unità lavorative interne e dell'indotto. Vogliamo sapere concretamente che cosa succederà, come si produrrà acciaio, e quanto acciaio si produrrà. Anche perché c'è un'altra spada di Damocle che pende su questa vicenda: è l'antitrust europeo che sta esaminando le quote in possesso ad ArcelorMittal. Anche su questo non c'è una risposta, e non si capisce bene che cosa voglia fare l'azienda.”