Le stime preliminari di Istat su Mezzogiorno e occupazione confermano un quadro di tendenza dell’economia al Sud e in Basilicata che abbiamo definito in chiaroscuro nella presentazione del recente rapporto Ires Cgil. E sono gli elementi che ci spingono a dire che la partita finale per il Mezzogiorno non è ancora stata giocata, sia per quanto riguarda la sua reattività alla lieve ripresa, sia per quanto riguarda una prospettiva più strutturale di economia avanzata e duratura.

Tre gli aspetti programmatici che si segnalano: qualità del lavoro, produttività e investimenti pubblico/privati nel Mezzogiorno. La lieve crescita che si riscontra è una crescita dettata più da ragioni congiunturali che da ragioni strutturali (investimenti pubblici e privati, settori nuovi, infrastrutture e logistica).

Certo un Pil che cresce dello 0,9% al Sud e che si mostra più dinamico di altre aree del Paese inverte, anche percettivamente, una tendenza di lungo corso e di matrice storica, quella del divario Nord/Sud, ma è altresì importante focalizzare l’attenzione sulle condizioni che soggiacciono all’avanzata del Pil: fattori congiunturali dovuti alla crescita più generale, al Sud e in Basilicata legati all’abbattimento del costo unitario di lavoro, con meccanismi che continuano a rendere più precario e meno duraturo il lavoro, specie dei più giovani con basse condizioni reddituali.

La ripresa dell’occupazione del 2016 ha coinciso, con una lieve flessione delle persone in cerca di occupazione (circa 500 unità pari al -1,6%); di conseguenza, il tasso di disoccupazione regionale si è ridotto di quasi mezzo punto percentuale passando dal 13,7% del 2015 al 13,3% del 2016, a fronte di una modesta crescita nel Mezzogiorno (dal 19,4% al 19,6%). Calo analogo a quello del Centro-Nord, area nella quale il tasso di disoccupazione è passato dall’8,8% all’ 8,4%. Ma ancora una volta non è secondario l’aspetto legato alla precarizzazione del lavoro e alla netta diminuzione (per non parlare di quasi azzeramento) di trasformazioni da lavoro a termine a lavoro a tempo indeterminato.

Poi la produttività, il grande tallone di Achille della Basilicata e del Mezzogiorno. Va vista la qualità delle imprese e la capacità di innovare, al Sud ed in Basilicata in particolare. La quota di export regionale in beni a “crescita dinamica” (quelli che inglobano competenze, investimenti e capitale umano qualificato) è frutto del decisivo contributo della filiera dell’automotive; numero e consistenza, per addetti, delle imprese localizzate in Basilicata con proprietà estera appaiono relativamente esigui.

I territori interessati da fenomeni di sviluppo accelerato negli ultimi vent’anni hanno visto, praticamente ovunque, il contributo decisivo di imprese estere. Non che la possibilità di acquisire i vantaggi competitivi in grado di favorire un avanzamento nelle catene del valore sia appannaggio delle sole filiali di multinazionali; tuttavia queste spesso costituiscono un “traino” a favore di imprese locali. Tutti questi fattori spingerebbero ad innalzare la produttività del lavoro ed a recuperare punti di Pil che si orienterebbero verso una crescita più strutturale e meno congiunturale.

Infine il grande tema degli investimenti, pubblici e privati,  ancora una volta a doppia velocità, che mettono il Nord del paese in condizioni migliori, seppure gli ultimi indicatori di Pil riequilibrano a vantaggio del Sud la partita. Al Nord continuano a crescere gli investimenti privati, malgrado la pessima performance italiana su quelli pubblici. In Italia, secondo gli ultimi studi Svimez, “gli investimenti che costituivano il 21,6% del Pil prima della crisi del 2007 sono scesi al 17% nel 2014 e sono 2% al di sotto della media Ue.  Più degli investimenti pubblici, sono diminuiti quelli privati, scesi di 3,2% del Pil.”

Il cosiddetto “decreto Mezzogiorno” fissa la quota delle risorse ordinarie delle spese in conto capitale, a favore delle regioni del Mezzogiorno,  al 34% del totale nazionale, valore raffrontabile al peso che la popolazione meridionale ha sull’aggregato demografico nazionale. Ciò rappresenterebbe una decisa inversione di tendenza rispetto alle “privazioni” di questi anni: la quota di spesa pubblica in conto capitale era passata, nel Mezzogiorno, dal 40,4% del 2001 al 35,3% nel 2007, disattendendo ogni impegno programmatico dei Dpef successivi.

Gli ultimi dati ci dicono che l’economia del Mezzogiorno, nonostante tutto, è reattiva, è viva. Ma non basta a decollare e non può fare a meno di interventi selettivi e qualificati a modificare l’orientamento e la prospettiva. Non basta una lieve inversione di tendenza a far dimenticare i problemi di cui il Mezzogiorno soffre, né il segno più di alcuni settori per dimenticare che il manifatturiero in generale ha bisogno di innovazione, investimenti, infrastrutture e strategie di ampio respiro e che si colleghino alle opportunità commerciali. L’economia meridionale ha un’elevata elasticità agli investimenti pubblici e a quelli in opere pubbliche in particolare, questo a causa dell’estrema debolezza dell’economia “di mercato” nel Sud, per l’appunto debolezza strutturale, così che la spesa in conto capitale rappresenta un volano molto potente per far ripartire il Mezzogiorno. Proprio per questo, la partita per il Sud non è che sospesa, è la madre di tutte le partite, la finalissima da vincere, per poter orientare strategicamente il Mezzogiorno verso un definitivo rafforzamento e un riposizionamento strutturale.

Angelo Summa è segretario generale della Cgil Basilicata