L’area del disagio occupazionale, quella formata dai lavoratori temporanei non volontari e dai part-time involontari, ha ormai raggiunto livelli record. Nel primo semestre 2018 i lavoratori in difficoltà sono addirittura 4 milioni 883 mila persone, pari al 21,7% del totale degli occupati e al 25,1% dei lavoratori dipendenti. È questo il quadro ben poco rassicurante che emerge dal rapporto “Disuguaglianze e disagio nel lavoro” elaborato dalla Fondazione Di Vittorio, in base ai dati della rilevazione continua delle forze di lavoro dell’Istat.

Nella ricerca della FdV si evidenzia come il part-time involontario ha coinvolto, nel primo semestre 2018, 2 milioni 772 mila persone (+1 milione 611 mila rispetto al primo semestre 2007, pari a +138,8%), quasi due terzi (63,9%) del totale dei lavoratori a tempo parziale.

Nella prima metà dell’anno, i lavoratori temporanei non volontari sono quindi 3 milioni e 61 mila, il numero più alto mai registrato dalle statistiche Istat. Il peso sull’occupazione totale è poi passato dal 10,3% del primo semestre 2007 al 13,2% del primo semestre 2018. Se si considera solo il lavoro dipendente, il peso dei dipendenti temporanei involontari sul totale dei dipendenti è pari a 16,1%, facendo registrare nel corso degli ultimi due anni un vero e proprio boom, con un incremento complessivo stimato in +553 mila persone (+22%).

Nel dettaglio, il tasso di disagio calcolato per regione, settore di attività e profilo anagrafico registra significativi scostamenti: il disagio è maggiore nelle regioni meridionali rispetto al Nord, con Calabria in testa (27,8%) e la Lombardia in coda (17,8%); è più frequente nel settore alberghiero della ristorazione, nei servizi personali e in agricoltura (sopra il 37%); è maggiore per le donne (28,9% contro il 16,3% degli uomini); è più alto nella fascia di età 15-34 anni (39,9%) e per i cittadini stranieri (33,9% contro il 20,2% degli italiani). Infine, più contenute le differenze per titolo di studio, con un tasso di disagio decrescente passando dalla licenza media al titolo universitario.

Secondo Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio “i dati della ricerca dimostrano che le disuguaglianze crescono, accelera il processo di precarizzazione e peggiora la qualità del lavoro. Dare risposte a questa ampia fascia di lavoratori – prosegue – non solo darebbe a persone che vivono un presente difficile la prospettiva di un futuro migliore, ma diverrebbe volano essenziale per far aumentare i consumi, qualificare la produzione e quindi accelerare lo sviluppo”.

Per la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti, invece, “nonostante la lieve inversione di tendenza negli indici di disoccupazione, la fotografia del mercato del lavoro nel nostro Paese resta drammatica, specie in rapporto agli altri paesi europei, sia per l’ampiezza dell’area del disagio, sia per i divari territoriali identificati”. “Anche per queste ragioni – sottolinea – preoccupa l’assenza, nella legge di Bilancio, di scelte forti e nette a favore del lavoro, dello sviluppo e degli investimenti pubblici e privati”. “Senza un piano straordinario per l’occupazione che possa offrire nuove prospettive di occupazione continuerà l’emigrazione dei giovani verso l’estero. Anche le scelte in campo fiscale, che premiano gli evasori e non redistribuiscono ricchezza ai lavoratori dipendenti e ai pensionati – conclude Scacchetti – non sono utili a sostenere il lavoro di qualità, a tempo indeterminato”.