All’Auditorium dell’Aquila si è tenuta l’assemblea dei lavoratori pubblici degli enti locali e dell’università, con la partecipazione di Susanna Camusso, che ha illustrato la Carta dei diritti universali del lavoro. Presenti ai lavori, Rita Innocenzi, segretario generale Fp dell’Aquila, Sandro Del Fattore, segretario regionale della Cgil Abruzzo, Umberto Trasatti, segretario Cgil dell’Aquila, Pino Belmonte, segretario Flc provinciale.

L'intervento di Camusso su RadioArticolo1

“La Carta la intendiamo come lo strumento con cui ricostruire la casa dei diritti e tutto il mondo del lavoro – ha detto in apertura Innocenzi –, destrutturato e precarizzato negli ultimi vent’anni. Non intendiamo tornare allo Statuto del 1970, ma ampliare i diritti a chi non ce li ha. Nel frattempo, si sono trasformati i rapporti di forza a vantaggio dei datori di lavoro, mentre sono sempre più deboli i lavoratori. Nel corso degli anni, qualche errore l’abbiamo fatto: ad esempio, sulla riforma delle pensioni, anche se ci siamo più volte mobilitati a difesa soprattutto dei lavoratori meno tutelati, come quelli degli appalti. La Carta è una proposta fortemente identitaria, che parla di modernità e guarda avanti. Nella raccolta delle firme, che partirà a fine mese, cercheremo di coinvolgere non solo i nostri iscritti, ma anche quelli di altre organizzazioni e tutto il mondo del lavoro nel suo insieme. La nostra è anche una proposta culturale, perchè pone un modello alternativo di progresso e sviluppo. La Carta vuole riunificare il mondo del lavoro, guardando a un nuovo modo di fare contrattazione, che sia inclusiva, di sito, di filiera: se noi non riusciremo a portare a coesione il mondo del lavoro, avremo fallito il nostro obiettivo”.

Tra i tanti lavoratori intervenuti nel corso dell’assemblea, Mauro Pettinaro, dottorando di ricerca in Epidemiologia dell’università dell’Aquila. “I precari della ricerca sono tagliati fuori da ogni forma d’indennità occupazionale o copertura assistenziale e previdenziale. Per il ministro del Lavoro Poletti, noi non abbiamo alcuna dignità professionale da rivendicare, anche se in tutta Europa avviene il contrario, vedi Carta europea dei ricercatori. Noi siamo privi di tutele, e con il governo Renzi la nostra situazione è ulteriormente peggiorata. Il 92% degli assegnisti è destinato a restare senza lavoro. Per questo, la Carta della Cgil appare fondamentale per tutti noi precari, in particolare l'articolo 17, che parla di diritto al sapere e alla conoscenza per tutti”.

È stata poi la volta di Simona Fasciani, dipendente di una società partecipata della Provincia. “La Carta dei diritti è fondamentale, perché la legge 300 è ormai obsoleta, in quanto non tiene conto della moltitudine di precari presente nel mondo del lavoro negli ultimi anni, dai Co.co.pro alle partite Iva. E lo è ancora di più per noi donne, tuttora le più discriminate, in quanto non riescono a conciliare i tempi di vita e di lavoro, penso in particolare al congedo parentale”.

Ezio Di Cinzio, lavoratore del Corpo forestale regionale, ha ricordato : “Dal 2017, noi forestali di un corpo civile saremo militarizzati forzatamente e unificati ai Carabinieri, in base a un decreto del governo. Ed essendo io un delegato Cgil, una volta indossata la divisa dell’Arma, non potrò più svolgere attività sindacale. Ma, oltre a ledere la mia libertà personale, è una forzatura per l’ambiente, che non può essere militarizzato”.

“La mancanza dei diritti deriva dalla mancanza di regole – ha sottolineato Antonello Santarelli, docente precario dell’Accademia di belle arti dell’Aquila –. E nel frattempo, i nostri migliori studenti dell’Afan se ne vanno, chi a Melbourne, chi in Norvegia. Il nostro comparto è penalizzato in tuti i modi, dalla penuria di risorse a disposizione, dai concorsi che non si fanno, dal personale docente sotto organico; il 30% di noi è precario e una percentuale analoga è composta da docenti atipici. Ho più di 50 anni e sono precario da quindici, e sto tentando di dialogare, assieme alla Flc, con i ministri che si sono succeduti. Nel frattempo, la formazione è abbandonata al suo destino, così come i teatri, i conservatori ecc. Per questo, abbiamo bisogno sempre più di sindacato, contro chi cerca in ogni modo di schiacciarci”.

A salire sul palco è toccato poi a Franco Federici, dipendente del Comune dell’Aquila: “Sul tema dei diritti, la partita è in salita. Abbiamo tanti nemici e tutto dipenderà dalla nostra capacità di aggregazione. Il precariato si combatte spostando risorse, non basta raccogliere firme. Il sindacato si deve battere per il no al referendum costituzionale, perchè la Costituzione non si deve manomettere e dà rango e potere a noi lavoratori. Ascoltiamo il grido che proviene da tanta parte del mondo istituzionale e dei giuristi. Il Jobs Act ha prodotto un vulnus nel mondo del lavoro circa la possibilità di essere licenziati senza giusta causa, e in quanto tale va contestato dal sindacato con ogni mezzo. Su precariato e diritti credo che il 90% dei lavoratori sia favorevole, ma la vera battaglia da fare sarà contro le lobby presenti in Parlamento”.

Un pensionato dello Spi Cgil, responsabile di una biblioteca comunale, ha poi sottolineato: “Il sindacato può vincere con la sua forza unitaria: la Carta dei diritti è un buon progetto, ma avrebbe più valore se fosse un progetto unitario, portato avanti con Cisl e Uil. E la consultazione tra i lavoratori dovrebbe essere estesa anche al Piano del lavoro, un grande progetto che, se attuato, potrà dare una svolta al Paese”.

Giovanna Conti è una dipendente comunale e si occupa della ricostruzione post sisma. “Sono una figura ibrida, dipendente a tempo indeterminato, pagata dallo Stato, ma che dal 2013 fa un lavoro a tempo determinato fino al 2021. Noi chiediamo un impegno maggiore del sindacato sulla nostra situazione lavorativa, che fa parte di una normativa emergenziale. Le nostre tutele si sono abbassate e abbiamo una spada di Damocle sopra la nostra testa: siamo discriminati nel rapporto di lavoro, penalizzati su tutta una serie di funzioni e indennità”.

La tornata degli interventi è terminata con Federica Benedetti, lavoratrice precaria del Centro per l’impiego dell’Aquila. “In nome della flessibilità e della modernizzazione, abbiamo costruito un sistema che guarda troppo agli interessi delle imprese e troppo poco a quelli dei lavoratori, sempre più mortificati: è un gioco al ribasso, dove i lavoratori sono demansionati, sottopagati, ricattati, perennemente a rischio di essere licenziati. Ma tutto ciò ha mortificato l’impresa stessa e l’intero sistema, mentre il Jobs Act è solo l’ultimo anello di una catena infinita. Noi lavoratori del pubblico impiego siamo addirittura arrivati all’azzeramento, siamo il 'non lavoro', e i tanti provvedimenti del governo mirano a privatizzare, a non investire più sul pubblico in tutti i comparti. Vergognosa, soprattutto, è la riforma delle Province e dei Centri per l’impiego, dove siamo quasi tutti con contratto a tempo determinato. Alla fine, sono i cittadini a essere saccheggiati dai servizi pubblici. La Carta della Cgil è un’opportunità unica per cambiare le cose, per unificare il mondo del lavoro, ma siamo noi che ci dobbiamo riunificare, che dobbiamo lottare uniti. Per farlo, dobbiamo fare uno sprint, avere uno scatto d’orgoglio. Ricordiamoci sempre che noi, pubblico impiego, il 7 aprile 2009, il giorno dopo il terremoto, eravamo tutti al lavoro, al servizio dei cittadini”.

Susanna Camusso ha concluso i lavori. “L’uso della parola modernizzazione, da parte del governo, nasconde la realtà delle cose – ha esordito il segretario generale della Cgil –. Un esempio, un decreto dell’esecutivo ha fatto sì che attualmente i lavoratori delle Province siano collocati in un portale che per definizione è virtualità. Cosa succederà di loro? La vera sconfitta che abbiamo subìto è che non c’è più un’identità collettiva del lavoro. Ma non ci può essere un modello di crescita del Paese, se non riparti dalla qualità del lavoro. A nostro giudizio, il bilancio è fallimentare, con un quarto di attività produttiva in meno, una produttività che non esiste, una capacità produttiva crollata, e avere squalificato il lavoro e smesso d’investire sulla sua innovazione è una delle ragioni della crisi. La premessa della Carta è la stessa del Piano del lavoro: si deve ripartire dalla qualità del lavoro, se si vuole recuperare produttività e competitività al Paese. La frantumazione del lavoro è una delle ragioni delle nostre difficoltà economiche e di prospettiva sul futuro. E se i nostri studenti più capaci, le nostre eccellenze, se ne vanno all’estero, noi perdiamo le risorse migliori, in termini di creatività e innovazione, e questo ha ricadute sulla capacità competitiva del Paese”.

"Siamo stufi dell’idea che la rovina del Paese sia ineluttabile – ha continuato la dirigente sindacale –. La prospettiva c’è, se partiamo dalle nostre ricchezze, cioè dal nostro patrimonio storico, artistico e culturale. Ma la quantità e qualità d’istruzione del Paese si sta riducendo, anzichè ampliandosi. La Carta è costruita mettendo al centro il valore del lavoro come idea e motore dello sviluppo. Come si fa tutto ciò? Innanzitutto, dobbiamo evitare che i lavoratori siano divisi e in contrapposizione tra loro. Altrimenti si arriva al voucher, al lavoro nero e sommerso, che da anni cerchiamo di combattere e far emergere, e l’ultimo messaggio arrivato ai giovani è: il lavoro non c’è, per cui prova ad arrangiarti con qualche bonus, senza coperture e senza pretendere diritti o tutele”.  

"Anche noi abbiamo sbagliato qualcosa, se siamo arrivati fino a questo punto – ha fatto autocritica la leader della Cgil –. Il primo errore è stato immaginare che la precarietà fosse un fenomeno transitorio e che si sarebbe, prima o poi, tornati al contratto a tempo indeterminato, ovvero al 1970. Ma indietro non si torna, perché il quadro è cambiato. Quando abbiamo di fronte un giovane con partita Iva, non pensiamo se quella partita sia vera o falsa, ma pensiamo a riconoscere la condizione e i diritti a quel lavoratore, che è innanzitutto una persona che lavora. E questo deve valere indipendentemente dal fatto se stai in un luogo pubblico o privato. Modernità vuol dire che il lavoro pubblico deve cambiare, nel senso che va sburocratizzato e organizzato meglio, quindi più contrattazione e meno legge. E se lo si vuole rendere più efficace al servizio dei cittadini, in primo luogo, bisogna rinnovare i contratti”.

“L’altra riflessione sulla Carta è che il Paese non tornerà più com’era prima della crisi – ha aggiunto il segretario generale della Cgil  –. E allora pensiamo a riprogettare l’Italia per come sarà, partendo dal lavoro, come centro fondamentale di produzione della ricchezza. Qui sta anche l’idea di una contrattazione diversa dalla precedente, che non vuol dire deregolamentazione, come qualcuno vorrebbe attuare. Ad esempio, se c’è un appalto, cominciamo a tutelare contrattualmente quei lavoratori, se vogliamo cambiare, ricostruiamo la solidarietà partendo da due princìpi fondamentali, dignità e libertà del lavoro. E ricordiamoci che, dentro la crisi, abbiamo fatto cose straordinarie, decine di migliaia di accordi su altrettante vertenze, senza i quali staremmo peggio”.

“Ora dobbiamo riaccendere la luce. Per questo, abbiamo scelto di passare per le assemblee degli iscritti, perché non basta un gruppo dirigente che va in giro a spiegare le cose. Noi vogliamo una nuova idea di partecipazione collettiva, perché il destino si cambia se agiamo tutti insieme, si basa sul nostro radicamento sui luoghi di lavoro. Creiamo un processo di autonomia e ricostruiamo i rapporti unitari, laddove è possibile, perché le divisioni di sicuro non aiutano. Però il tema non è se qualcuno ci farà da sponda, ma se il movimento che nasce sarà così forte da costringere qualcuno in Parlamento a cambiare davvero le cose, ricostruendo un corpus di norme sui diritti che sia valido per tutti”, ha concluso Camusso.