Colpisce che intellettuali di sinistra, autorità religiose e scienziati “impegnati” non siano stati in grado di cogliere anche nel nostro paese il nesso fra scelte energetiche e modello di società. La tragedia nucleare che si sta consumando in Giappone servirà, speriamo, a risvegliare le coscienze e a mobilitarci anche in Italia contro la manipolazione della cultura e dell’informazione. La prima vittima del nucleare è la verità. Esiste ormai un collaudato sistema di menzogne che sostituisce l’ideologia e funziona al servizio dell’arroganza antidemocratica e della bramosia di profitto che la scelta del nucleare introduce ovunque. La realtà ci dice che viviamo, specie al Sud, in un paese incapace di affrontare una vergognosa emergenza rifiuti (quelli “normali”), che mette all’ordine del giorno ogni genere di abuso e di inquinamento, che lascia correre il degrado ambientale e le discariche abusive, la cattiva gestione del territorio, delle infrastrutture e degli impianti.

Negli ultimi anni l’Italia invece di ridurre le emissioni inquinanti del 6,5 per cento, come prevedono gli accordi del protocollo di Kyoto, le ha aumentate di oltre il 15 per cento. Il consumo di suolo e di aree naturali nel nostro paese, e specialmente nelle regioni del Sud dove più pervasivo è il controllo del territorio e delle risorse da parte degli interessi mafiosi, Calabria in testa, è già pari a più del 26 per cento; il più alto di tutto l’Occidente sviluppato. In un paese come l’Italia, in quel che resta del Belpaese, dove già la raccolta differenziata pare una missione impossibile e anche lo smaltimento e la gestione dei rifiuti, a partire dal semplice sacchetto di spazzatura domestica, può avere ricadute tremende sul paesaggio e sull’ambiente, dove le ecomafie e le attività criminali controllano il settore delle costruzioni, il ciclo del cemento e quello dei rifiuti, cosa ne sarà della scelta nucleare? Questioni cruciali arrivate al dunque.

La forza della natura, come dimostra la sequenza catastrofica verificatasi in Giappone, è indifferente alle nostre deboli e sopravvalutate pretese di previsione e di controllo. Il tema della hybris e la sua moderazione in nome del principio umano – se non sacro – di rispetto e di precauzione di fronte alle pratiche soverchianti e alla tracotante prevaricazione inferta alla natura dalle “cosmotecnologie” (Marc Augé) che i moderni vorrebbero sovraimporre all’ordine naturale, sostituendo queste all’indominabile imprevedibilità che regge e sottrae a ogni ambizione di controllo umano le forze delle natura, torna d’obbligo in ogni riflessione sensata. Chi ci dice che il disastro, specie in un paese esposto a rischi di forte sismicità e maremoti, e peraltro pesantemente gravato da corruzione, mafia e cattiva politica, non possa accadere anche in Italia con chi controlla i sistemi e le complesse tecnologie dell’atomo, con la costruzione delle centrali atomiche in edifici scadenti e poco sicuri, o con lo smaltimento e lo stoccaggio negligente delle scorie radioattive?

Il sito di controinformazione di Julian Assange pubblica un documento riservato, datato 2008, che mette sotto accusa il monopolio costituito dalle compagnie elettriche e dei costruttori internazionali di tecnologie e di centrali nucleari, colpevoli di “nascondere anche ai governi i costi e i reali problemi di sicurezza legati all’energia”. Appare ormai chiaro che l’aggressione crescente agli equilibri ambientali, lo sfruttamento energetico e il progressivo surriscaldamento del pianeta, che sono problemi strettamente correlati tra loro, non possono più essere affrontati “tecnicamente” dagli specialisti di quelle che Michel Foucault nelle sue analisi su geografia, potere e società nell’età dei moderni chiamava “pratiche di assoggettamento e di dominio”.

Scienziati, politici, economisti e detentori dei media, promulgando il tema energetico in termini falsamente neutri e falsamente “positivi”, in realtà spostano in avanti gli enunciati classici del totalitarismo e del dominio antidemocratico. Il punto vero per cui occorre contrastare anche in Italia l’opzione nucleare è proprio quello del modello di società che si profila per tutti con questa scelta. La scelta del nucleare è una scelta che centralizza i poteri e li rafforza a scapito della partecipazione e del controllo democratico. Con la scelta nucleare anche in economia si tende a remunerare la finanza e il capitale investito invece di creare nuovi posti di lavoro. Le centrali sono un affare solo per chi le finanzia, le costruisce e le gestisce; non per l’ambiente, non per la popolazione e le comunità locali in cui vengono localizzati gli impianti, a cui restano solo un enorme carico di rischi e di servitù.

Non si tratta perciò solo di decidere quale fonte di energia debba sostituire i combustibili fossili. Né ci si può più limitare a criticare il nucleare in nome delle energie rinnovabili. A cosa serve e a chi giova la crescente quantità di energia divorata dalla società dei consumi? Crediamo davvero che sia un interesse compatibile con il destino dell’umanità quello di garantire la sopravvivenza di una società industriale in cui il massimo delle libertà concesseci è quello della circolazione di capitali e di tecnologie trasformate dal profitto nel consumo superimposto di merci, invece che la crescita di conoscenze, esperienze e relazioni umane più ricche, civili e liberate?

Al contrario, un sistema di produzione energetica diversificato e diffuso sul territorio, basato su fonti naturalmente disponibili e integrato su base locale, rinnovabili e ad alta efficienza, moltiplica e rafforza le scelte consapevoli, favorisce la crescita civile e i processi di partecipazione democratica, con la creazione, in più, di molto lavoro locale che non è esportabile né può essere monopolizzato. I cittadini e le società che diventano protagonisti della produzione energetica e non solo delle pratiche del consumo, in definitiva, acquistano più autonomia e libertà, e conservano l’ambiente e le risorse in modo migliore anche per le generazioni future.

Il no all’assoggettamento tecnologico e alle prepotenze che accompagnano il modello di società che regge la scelta nucleare, appaiono come il segno di una “presa di coscienza planetaria, legata alle preoccupazioni ecologiche” (ancora Augé). Il primo passo utile a ritessere ed estendere la trama complessa di una nuova ricerca di equilibrio cosmologico per un’alternativa che voglia impegnarsi a ridare domesticità al rapporto con la natura, ritrovando il senso e la misura umana di quella che lo stesso Marc Augé ha definito “una società dei fini in un mondo senza finalità”. Viceversa concetti ambivalenti come quelli di “energia” e “potere”, che ai giorni nostri non a caso identificano i principali oggetti di scambio dello stesso commercio globale e che, dopo la crisi del neocolonialismo e l’affermazione del sistema capitalistico-industriale su scala mondiale, ne designano anche la geografia e le maggiori aree di diffusione e di consenso politico-economico, sono espressioni significative chiamate a circoscrivere il senso profondo che troviamo inscritto nel vocabolo inglese power: “autorità-forza”. Il nucleare deve vivere infatti sotto il continuo controllo dell’autorità e della forza, al servizio del blocco di potere tecnocratico-politico-militare necessario a installare e proteggere gli impianti.

Con questo occorre accettare anche il rischio conseguente: che chi detiene il potere di decidere sulle tecnologie dell’atomo possa a un certo punto esercitare la violenza e il dominio. Che diventi una potenza militare munita di armi nucleari di distruzione di massa (le multinazionali implicate nell’affare nucleare sono le stesse produttrici di tecnologie e armamenti atomici), con l’aumento esponenziale dei rischi derivanti da terrorismo e insicurezza in caso di crisi politiche. Ma, soprattutto, accettare il nucleare significa scegliere incautamente il rischio di compromettere irreversibilmente in caso di incidenti incontrollati non solo l’ambiente naturale e la nostra salute, ma le stesse possibilità di vita delle prossime seimila generazioni umane. Una vera follia collettiva. La stessa che informa il modello di società che già adesso costringe noi, abitanti (per ora) della parte più ricca del pianeta, a vite precarie e sempre più esposte alla casualità e al pericolo, alla dipendenza da lavori alienati e per lo più inutili, a esistenze prive di bellezza e di umanità, a una vita negata al rapporto armonico con la natura e sbilanciata sulla fatuità annichilente dei consumi.

Rinchiusi nella solitudine o nella confusione di spazi urbani sempre più ostili e degradati, dove respiriamo veleni, ci nutriamo di alimenti in gran parte adulterati, circondati di oggetti e di prodotti in gran parte futili e costosi. Un modello di società profondamente inferma, autodistruttiva e cloacale. Per garantire il profitto e il potere di pochi si continuano a saccheggiare e a devastare risorse, ambienti naturali, storia, bellezza e possibilità di vita. Riservando a intere popolazioni paura e insicurezza inventiamo nuove forme di mortalità, come la peste nucleare, oltre al pericolo sempre più incontrollato di guerre, fame e miseria. E se fossero queste, e non altre, le prove di un’incipiente e colpevolmente umana apocalisse globale?