“La nostra prima parola d’ordine è investimenti, pubblici e privati, per rilanciare l’economia e i posti di lavoro. Il piano Juncker ha provato a imprimere una prima svolta alla stagnazione, ma non è stato abbastanza coraggioso. Anche i parametri di Maastricht vanno rivisti. Insomma, è giunto il momento di una seria riforma macroeconomica”. A dirlo è Luca Visentini, segretario generale della Confederazione europea dei sindacati, presentando la Conferenza di metà mandato in corso a Roma. La confederazione rappresenta circa 45 milioni di lavoratori di 90 organizzazioni affiliate – anche di Paesi candidati a entrare come la Turchia – e il suo obiettivo è quello di porre al centro il tema dell’Europa sociale. “Ormai – sottolinea – veniamo da dieci anni crisi drammatica con la disoccupazione giunta a livelli intollerabili. A sessant’anni dai Trattati di Roma, la cui firma è stata celebrata lo scorso marzo, pensiamo che questo sia l’anno della svolta necessaria, altrimenti il rischio è che l’Unione imploda in se stessa, non abbiamo un futuro. Dalla dichiarazione sottoscritta al termine di quell'incontro sembra esserci una presa di coscienza, tanto più dopo la Brexit, che fa presagire la volontà fare le cose insieme. Da parte nostra, garantiamo una spinta dal mondo del lavoro, è questo il messaggio forte che in queste tre giornate vogliamo lanciare alla politica”.

Rassegna Com’è la situazione a due anni di distanza dal vostro congresso di Parigi?

Visentini Ancora adesso la prima urgenza è quella degli investimenti. E insieme a questo bisogna pensare a quella che noi abbiamo chiamato 'transazione giusta'. Significa fronteggiare le sfide epocali della globalizzazione e le trasformazioni del mercato del lavoro con un piano straordinario che preveda anche nuovi strumenti finanziari.

Rassegna Poi c’è la questione salari, la Ces ha lanciato una grande campagna su questo tema

Visentini Sì. I salari sono crollati miseramente in dieci anni. E se insieme a questo dato, ci ricordiamo che il prodotto dell’Europa si basa per il 70 per cento sui consumi interni, allora è evidente che le conseguenze sono disastrose. Al contrario, dobbiamo far convergere i salari verso i livelli più elevati e il solo modo per farlo è attraverso la contrattazione collettivi, tramite una iniziativa grande a livello continentale che porti a normative quadro. È l’unico modo per combattere la concorrenze sleale, il dumping sociale e salariale. Tutti i cittadini europei devono essere nelle medesime condizioni di partenza.

Rassegna Dove insistono le maggiori differenze da colmare?

Visentini Intanto va detto che i governi stessi si rendono conto delle conseguenze: salari poveri significano un mercato lavoro che si svuota di competenze, perché le persone con qualifiche più alte se ne vanno dove guadagnano decentemente. Dove sono le differenze? Beh, ormai esistono anche all’interno della Germania, dove nelle fabbriche della Volkswagen trovi operai che guadagnano 40 euro l’ora, lavoratori dell'indotto a 20 euro, e quelli dei servizi in appalto come le pulizie a 5 euro l’ora, portati poi a 8,5. Dunque, la divergenza salariale non è solo tra Est e Ovest, ma anche all'interno dei paesi occidentali. Noi stiamo negoziando con la Commissione sul tema, ma si può fare solo con la contrattazione collettiva nazionale. E in paesi dell'Est dove sostanzialmente non esiste, si devono creare le condizioni per farla nascere. È questo l’anno cruciale.

Rassegna La Ces è impegnata in prima linea sul fronte dell’accoglienza

Visentini È un altro tema al centro della nostra Conferenza. C'è la necessità di garantire accoglienza all'inizio, ma poi anche il pari trattamento dei lavoratori in mobilità. L'Ue deve imprimere una svolta rispettosa dell'integrazione. Alla fine, il nostro obiettivo è costruire un’Europa sociale che metta al centro i diritti dei lavoratori. In particolare, sulla sul cosiddetto “pilastro dei diritti sociali” lanciato poche settimana, ora i singoli governi devono decidere se partecipare o meno. Ecco, dai sindacati arriverà una forte spinta in questa direzione. Siamo stanchi di una governance politica legata solo al semestre europeo. Accanto al Patto di stabilità devono esistere standard e regole sociali da raggiungere tutti i insieme, regole positive per costruire anche e soprattutto un’Europa sociale.