Il 5 marzo a Bruxelles parte la conferenza "A new start for social dialogue", a cura della Commissione europea. Un'occasione di dialogo tra sindacati e imprese degli Stati membri. Per la Cgil partecipa il responsabile del segretariato Europa del sindacato, Fausto Durante.

“Spero che questo sia un nuovo inizio per il dialogo sociale in Europa. Anche se a noi, alla Cgil, ma anche agli altri sindacati italiani sarebbe piaciuto che questa conferenza si potesse tenere nel semestre di presidenza italiana dell'Unione europea. Purtroppo ciò non è stato possibile e questo conferma ancora una volta che il nostro premier ha trascurato le necessità di un grande paese come l'Italia, che avrebbe voluto essere al centro della discussione europea”. Lo ha detto lo stesso Durante, ai microfoni di RadioArticolo1.

Comunque – ha continuato – l'importante è che alla fine la conferenza si faccia, perché il dialogo sociale è una delle pietre angolari del modello europeo, ed è il modello che permesso per tanti anni di crescere tutti assieme e di creare sviluppo e ricchezza nel nostro continente. Questo dialogo, però, è andato in crisi per tante ragioni. La prima sono le scelte della Commissione, soprattutto quelle degli ultimi anni presieduta da Barroso, e il metodo di governo dell'Unione europea, che ha privilegiato gli interventi e il ruolo dei governi, mettendo in ombra quello della dimensione comunitaria. Poi c'è anche l'egoismo delle imprese, che hanno avuto buon gioco, in un periodo in cui i vincoli al capitalismo e al dispiegarsi dell'attività economica sono stati sempre più indeboliti. Quindi c'è da sperare che la commissione di Juncker voglia imprimere un corso nuovo a questo strumento, che è una delle chiavi del progetto dell'Europa”.

“Il metodo del dialogo sociale – ha spiegato il dirigente sindacale - è quello della tanto vituperata concertazione, o almeno tanto vituperata in chiave italiana. La procedura è quella di mettere assieme attorno a un tavolo i portatori degli interessi dei corpi sociali rappresentativi dell'impresa, del lavoro e ovviamente dei governi e delle istituzioni europee su diversi argomenti e sulle questioni più disparate, che riguardano la dimensione economica e sociale della vita nell'Unione”.

“Abbiamo avuto il lancio di questo modello negli anni gloriosi della Commissione di Delors - ha poi affermato -, che ha creduto nel coinvolgimento attivo delle parti sociali come elemento per la condivisione degli obiettivi comuni al continente europeo e per la definizione del tratto distintivo della dimensione sociale dell'Unione. Nel corso degli anni, abbiamo avuto tante sedi di confronto e di dialogo che hanno portato anche alla stipula di accordi importanti. Penso alle analisi congiunte tra il sindacato, gli imprenditori e la Commissione europea sul mercato del lavoro, sui bisogni formativi, sulla necessità di intervenire sulla formazione professionale, agli accordi sul telelavoro, contro la molestie nei confronti delle donne. Una lunga serie lunga di accordi che dagli anni '70 in poi hanno segnato il percorso di approssimazione verso la costruzione dell'Europa sociale così come oggi la conosciamo. Negli ultimi anni questo percorso è stato interrotto, perché Barroso ha ritenuto che l'asse delle politiche della Commissione dovesse seguire quello delle teorie neoliberiste imposte negli anni della crisi dal Washington consensus e quindi ha indebolito le funzioni di rappresentanza dei corpi intermedi”.

“Quello che proverò a dire al workshop
– ha concluso Durante - è che noi abbiamo la necessità di intervenire sulla qualità e sul bagaglio professionale dei lavoratori in Italia e in Europa. Perché, nel corso di questi anni, per effetto di pressioni di natura nazionale e europea sul lavoro si è investito sempre di meno, sia in termini di qualificazione sia in termini di professionalità e in termini di rapporto tra il processo di innovazione, di introduzione di ricerca e sviluppo. Tutti nel mondo sono consapevoli che una forza lavoro qualificata, istruita, scolarizzata è il prerequisito per il successo di ogni attività economica. Da questo punto di vista dobbiamo invertire la tendenza negli ultimi anni. Basti pensare a quello che in Italia ha fatto il governo con il Jobs Act, di cui nella conferenza ricordo la nocività e l'inefficacia”.