Si parla tanto di robotica ultimamente e a volte purtroppo in maniera non razionale. Ho contato più di 80 articoli negli ultimi due anni sulla stampa italiana ed estera in cui si descrive la fine del lavoro per come lo conosciamo oggi e l’inizio di un periodo dominato da un’intelligenza non-umana, un “esercito” di robot che ci sostituirà. Come ricercatore che se ne occupa, credo di avere il dovere di fare chiarezza non nascondendo i pericoli, ma nemmeno le grandi opportunità.

Viviamo dei fenomeni inarrestabili. Dal sito di Eurostat scopriamo che il mondo sarà sempre più popolato, ma da anziani. L’Italia, con un’età media di 45 anni, è uno dei Paesi più “anziani” al mondo. L’aumento della speranza di vita e i bassissimi tassi di natalità per la prima volta nella storia porteranno ogni regione del pianeta (tranne l’Africa) a sperimentare un aumento del numero di persone oltre i 65 anni. L’invecchiamento della popolazione porterà alla mancanza di forza lavoro, che secondo un recente studio del Boston Consulting Group costerà oltre 10 mila miliardi di dollari nel 2030: in Germania mancheranno circa 2,5 milioni di lavoratori nel 2020 e 10 milioni nel 2030.

Anche l’Italia, nella quale oggi ci sono quasi 3 milioni di disoccupati, si avvia a un brusco cambiamento e potrebbe affrontare una mancanza di circa 1 milione di lavoratori nel 2030. Non c’è modo di cambiare questi numeri nel breve periodo. In questo quadro i robot possono essere una delle soluzioni: potrebbero aiutarci a mantenere una popolazione mondiale sempre più numerosa e sempre più inabile al lavoro. In fabbrica, ma anche in simbiosi con noi. Si stanno sperimentando protesi robotiche, esoscheletri per la riabilitazione posttrauma, robot per gli ambienti pericolosi per l’uomo e quelli che ci aiutano a tenere d’occhio lo stato di salute dell’ambiente. Portare queste tecnologie nelle case degli anziani e nelle cliniche ospedaliere potrebbe avere un impatto positivo sulla qualità della vita e della sanità.

Se poi ci avventuriamo nei dettagli della tecnologia scopriamo che non tutto è automatizzabile. Semplicemente non sappiamo farlo. La soluzione più efficiente sarà la collaborazione uomo-robot. Il robot renderà più semplice e sicura una parte del nostro lavoro. Questa è la nostra sfida e, forse, bisogna iniziare a parlarne. Ci sono tante incognite. Chi sarà il produttore di questa tecnologia? In un momento in evoluzione, sarebbe utile capire come non perdere il treno: vogliamo in futuro importare i robot o piuttosto saperli costruire noi? Non abbiamo certamente le risposte, ma abbiamo una certezza: tutto questo deve essere fatto con una seria strategia tecnologica, sociale e politica umanamente sostenibile che metta al centro l’uomo e le sue esigenze.

Giorgio Metta è vicedirettore scientifico dell'Iit, Istituto italiano di tecnologia

Questo articolo è tratto dal numero di febbraio 2018 di Idea Diffusa, l'inserto di informazione sul lavoro 4.0 di Rassegna Sindacale