La legge di bilancio del governo Renzi non corrisponde alle necessità al Paese: "Non serve a rimetterlo in moto, a creare lavoro giovanile e femminile, soprattutto nel Mezzogiorno, e a ridurre le disuguaglianze aumentate fortemente in questi ultimi anni. Il giudizio generale della Cgil è quindi critico”. Così il segretario confederale, Danilo Barbi, stamani in audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato sulla manovra.

Per la Cgil, la programmazione economica del governo, che prevede una crescita dell'1% nel 2017, “è sostanzialmente un'ipotesi di stagnazione, soprattutto in una condizione socio-economica come quella attuale”. L'esecutivo, spiega Barbi, "insiste con una politica di tagli alla spesa pubblica e di riduzione dei costi alle imprese anziché prevedere maggiori investimenti pubblici, per i quali si programma ancora una volta una diminuzione. Si continua con la filosofia di assegnazione di bonus, anziché creare diritti e invece di creare direttamente occupazione - incalza il dirigente sindacale - si scommette su decontribuzione e defiscalizzazione del lavoro, oltre che deregolazione”.

Per Barbi i margini fiscali per una politica espansiva esistono, "e vanno recuperati nei grandi patrimoni privati e nell'evasione fiscale, ma sono scelte che il governo non vuole realizzare. Infatti - continua - il Decreto fiscale si mostra come un mero tentativo di fare cassa, proponendo una serie di condoni e di distorsioni del sistema fiscale”.

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“Nel merito delle misure proposte nel disegno di legge di bilancio - prosegue Barbi - la Cgil individua alcuni elementi positivi come: il piano Industria 4.0 e, per effetto dell’iniziativa sindacale, l’aumento delle pensioni nette, mentre sono ancora insufficienti e incerte le risorse dedicate al rinnovo dei Contratti pubblici”. Sul versante della contrattazione collettiva dei settori privati, il segretario confederale della Cgil evidenzia che “l’unica misura di sostegno è rappresentata dalla detassazione della produttività di secondo livello, mentre non è previsto alcun supporto ai contratti collettivi nazionali di lavoro, che sono l’unica garanzia di aumento generalizzato dei salari e, perciò, della domanda interna”.

Infine, altro elemento critico è relativo alle clausole di salvaguardia, ovvero gli aumenti di IVA e accise a garanzia dei tagli alla spesa pubblica: “non vengono risolte, bensì rinviate ancora di un altro anno e, anzi, ne vengono istituite di nuove (aumento accise e ancora tagli alla spesa) in relazione agli obiettivi di recupero del gettito evaso”. Questa manovra profila il rischio, "abbastanza evidente, di nuovi aggiustamenti del bilancio dello Stato a primavera. Per questo continuiamo a proporre di partire da un Piano straordinario per l'occupazione giovanile e femminile e per i disoccupati di lunga durata”, ha aggiunto Barbi.

Al termine dell'audizione, Barbi ha parlato ai microfoni di RadioArticolo1. Qui ha affrontato il tema del terremoto e dei fondi necessari per la ricostruzione: nella lettera inviata a Bruxelles il governo italiano parla di 3,5 miliardi di euro. In realtà, ha spiegato, "le risorse sono 700 milioni sul primo anno. Il calcolo che il governo invia alla Commissione riguarda anche altri interventi: alcuni già previsti, per esempio di manutenzione e messa in sicurezza. Però - ha osservato - bisogna fare ben altra vertenza con la Commissione europea: le politiche europee prevedono già che le spese di ricostruzioni per calamità naturali siano fuori dal fiscal compact. Nell'epoca del governo Berlusconi con Tremtoni l'esecutivo non fece valere in Europa questo fatto evidente: l'Italia, paese di terremoti, ha un problema di ricostruzione ma anche di prevenzione e questo nel fiscal compact non c'è".

 

L'Italia, secondo Barbi, "è un paese sismico al contrario di Francia, Germania, Spagna. Negli ultimi 35 anni noi abbiamo avuto 7 terremoti significativi, con distruzioni e morti, negli altri paesi d'Europa nessuno. Il governo dell'epoca però non svolse un ruolo minimo di salvaguardia delle ragioni nazionali". Su questi temi "pensiamo che la Commissione Ue abbia torto", perché "al di là della scrittura dei trattati l'Italia è a rischio sismico e va considerato". Una seria ricostruzione e una politica di prevenzione "possono impedire ai terremoti di essere così distruttivi". In generale, all'interno della Ue "l'Italia e la Francia avrebbero la responsabilità di guidare un fronte di maggioranza dei paesi europei contro l'interpretazione tedesca delle politiche economiche, questa scelta però non viene fatta: ogni tanto si alza la voce per avere margini, un po' alla Francia, un po' all'Italia, ma non si cambia la struttura complessiva", ha concluso.