Si è recentemente celebrata la giornata della memoria e dell'impegno per le vittime innocenti delle mafie. Libera ha scelto Foggia per la manifestazione nazionale, perché è al centro di una guerra di mafia di cui si parla poco, ma anche perché resta la capitale del caporalato. Eppure, distinguere tra l'economia legale e quella illegale è spesso molto difficile. “L'economia criminale si nasconde sempre più nelle pieghe di quella formale – conferma ai microfoni di RadioArticolo1 Marco Omizzolo sociologo e giornalista, intervistato nell'ambito della rubrica Economisti erranti –. Oggi c'è un contesto molto più ampio dell'esercizio dei caporali, dei mafiosi e degli sfruttatori tradizionali. Un contesto fatto di liberi professionisti che agiscono nell'ombra, allo scopo di portare le aziende criminali dentro la legalità. La legalità formale diventa quindi un grande ombrello per ripararsi dall'azione investigativa dei giornalisti, della magistratura e delle forze dell'ordine”.

Questa situazione – continua Omizzolo – richiede un continuo aggiornamento, un'analisi costante dei territori più esposti: il foggiano, il siracusano e il pontino, ad esempio. Bisogna capire come questo fenomeno si evolve, e nel contempo far evolvere la normativa vigente e l'economia. Lo sfruttatore, il caporale e il padrone di un'azienda agricola, anche di grandi dimensioni, infatti non possono agire se non in associazione con liberi professionisti che gli indichino la strada attraverso la quale agire formalmente nella legalità, arrivando invece a ridurre addirittura in schiavitù braccianti e lavoratori. Così l'azienda criminale avvolge e stritola l'intera esistenza del lavoratore, non soltanto nelle aziende ma anche a casa, nelle sue azioni quotidiane, nelle necessità. È una logica di pura speculazione, alla quale bisogna contrapporre l'avvio di processi di autonomizzazione del lavoratori, attraverso l'istituto delle cooperative, ad esempio”.

Nel momento in cui si avvia un processo di questo tipo infatti, secondo il sociologo, “non è più soltanto la singola cooperativa di braccianti che si mette in gioco, ma è l'intera comunità locale che si mobilita. Esiste un sistema di piccole comunità che accolgono lo sforzo dei lavoratori e possono diventare una sorta di fortino contro il tentativo costante delle criminalità di infiltrarsi nell'economia”. Solo così si può superare l'idea della “cooperativa come monade”, e inserirla all'interno di “una comunità che partecipa”. C'è quindi un elemento di “responsabilità che deve però partire sempre dalla conoscenza puntuale dei processi produttivi”.

C'è poi, a detta di Omizzolo, “un problema di bonifica dell'intera filiera a partire dalle logiche della grande distribuzione organizzata, che strozzano il sistema produttivo e troppo spesso nascondono produzioni fondate sullo sfruttamento”. Su questo fronte esistono diverse idee in campo, come “l'etichetta narrante”, oppure altri “strumenti di monitoraggio completo e continuativo di tutta la filiera”. Affinché tutto questo abbia successo, però, deve comunque esserci “uno sforzo molto più determinato che in passato da parte della classe dirigente di questo Paese. Perché la grande distribuzione organizzata può essere riformata soltanto a partire dalla messa in chiaro di tutta la filiera e di logiche che molte volte sono ancora soltanto speculative”.

La Cgil, in questo campo, è protagonista di un'iniziativa importante. “Ad Afragola – racconta Luciano Silvestri, responsabile legalità del sindacato di Corso d'Italia – abbiamo stimolato la nascita di una cooperativa in una masseria sequestrata alla Camorra. Lì è nata un'esperienza straordinaria che sta occupando lavoratori immigrati regolari e richiedenti asilo, ma anche persone che stanno scontando fuori dal carcere la pena per essere reinseriti nella società. Figure quindi deboli, rispetto alle quali l'economia criminale si fa forte. Quando si propone un percorso di autonomia, perciò, si possono risolvere i problemi. È una bella sfida e un contributo decisivo contro l'illegalità”.