“Oggi in Italia abbiamo 8 milioni di lavoratori che attendono il rinnovo. C’è Federmeccanica che vuole rinnovare il contratto per il 5% dei dipendenti, allora bisogna decidere se si vuole rinnovare un contratto di lavoro che si chiama ‘collettivo’, ovvero rivolto all’intera platea di chi lavora, oppure si vuole fare altro”. Così il segretario confederale della Cgil, Franco Martini, ha aperto l’incontro “Diritto alla contrattazione e alla tutela sindacale” che si è svolto oggi (29 maggio) a Lecce nell’ambito delle Giornate del Lavoro.

“Da parte loro – ha osservato Martini –, molti esponenti di governo che parlano di contrattazione possono cominciare a fare il primo passo: rinnovare il contratto dei dipendenti pubblici”. La contrattazione, inoltre, “è lo strumento per fare determinate scelte: l’esecutivo deve considerare il contratto richiesto dalle parti sociali, non serve una legge sulla contrattazione, ma bisogna recepire l’accordo che privatamente le parti hanno siglato”. Sulla riforma contrattuale, dunque, “sarebbe bene coinvolgere chi fa contratti tutti i giorni. Alla nostra proposta unitaria, la prima risposta di Confindustria è stata che i sindacati guardano indietro, che il futuro della contrattazione è in azienda. Ma la contrattazione del terzo millennio – si è chiesto – deve parlare a una fetta o a tutto il mondo del lavoro?”.

Martini ha chiesto di “smetterla con una discussione accademica”. Una colf che lavora in casa non può certo fare contrattazione aziendale con la famiglia che la assume. “La definizione di un nuovo modello impone una riflessione seria e aggiornata su cos’è il lavoro oggi – a suo avviso –. Vogliamo superare un mondo del lavoro duale, dove alcuni hanno i diritti e altri non li hanno niente. Allora l’esecutivo può fare una norma sulla rappresentanza molto facile: prendere le nostre intese e trasformarle in legge. A quel punto sarà una buona legge”.

Il protocollo del 1993 “resta ancora un punto di riferimento”. Così il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano. “Io sostengo il doppio livello contrattuale – queste le sue parole –: la funzione del contratto nazionale è indispensabile e da difendere”. La negoziazione in azienda “oggi coinvolge il 20% dei lavoratori, quindi l’eventuale superamento del Ccnl non sarebbe sostituito dal contratto integrativo: porterebbe invece al compenso minimo, al salario individuale stabilito per legge che è la fine della contrattazione”. Se il dipendente si trova a contrattare da solo le condizioni col datore, allora “viene meno la dote sociale del lavoro”. Sui voucher, ha proseguito Damiano, “bisogna tornare alla legge Biagi: quando ho applicato quella legge da ministro i voucher erano per le vendemmia, solo per studenti e pensionati, mai per i lavoratori agricoli. Torniamo al voucher legato al tema dell’occasionalità del lavoro”. Sui contratti infine “bisogna impedire che il governo intervenga sulla materia, lasciandola alla contrattazione delle parti”.

Diversa la posizione di Sergio Pizzolante, deputato di Area Popolare. “Pensare di recuperare tutto il salario nel contratto nazionale non è realistico – ha esordito –. Il recupero salariale e la difesa del potere d’acquisto vanno collegati alla crescita della produttività: è nella dimensione aziendale che si creano i parametri per questa crescita e dunque per l’aumento in busta paga”. Il contratto nazionale deve avere “un giusto ruolo”, a suo giudizio, “ma anche la contrattazione aziendale va considerata di serie A. La risposta del governo deve essere prevedere maggiori risorse per il secondo livello, per esempio stabilendo risorse per il salario di produttività”. Pizzolante ha difeso l’articolo 8 di Sacconi: “So che qui è impopolare, ma la norma non consente al singolo di farsi il proprio contratto, bensì permette alle parti più rappresentative di andare in deroga alla legge, quindi a suo modo rimanda agli accordi tra le parti”. Sui voucher “i dati dicono che valgono circa 500 euro medi l’anno, si tratta principalmente di piccoli lavori. Non bisogna abusarne, ma occorre guardare in faccia la realtà senza demonizzazione”, ha concluso.

 

Ex delegato Expo: abbiamo lavorato duro, ma oggi siamo disoccupati
L’incontro è stato preceduto dal racconto di Yuri Sbrana, ex delegato all’Expo ora disoccupato. “E’ stata un’esperienza umana straordinaria – ha riferito -. All’interno si sono presentate tutte le difficoltà che affronta il mondo del lavoro oggi: il 70% erano ventenni e non avevamo mai sentito parlare del sindacato, abbiamo dovuto spiegare cos’era. Nei festivi, sotto l’acqua o il sole battente, i lavoratori hanno dato il loro meglio, sapevano di partecipare a un grande evento per il paese. Pensavano che dopo un’esperienza simile si potesse continuare: invece oggi abbiamo un popolo di ragazzi e ragazze che hanno lavorato duro e non hanno impiego. Pensavano di riuscire gradualmente a superare la precarietà, ma purtroppo non è stato così. Essere precari significa essere privati del diritto al futuro”, ha concluso.