Dove trovare, nell’attuale contesto economico, un durevole percorso di crescita? E come avviarlo, senza attendere i tempi dell’Europa? La risposta è: nelle città e nella loro riqualificazione; con l’obiettivo di creare nuova occupazione, migliorare la qualità della vita e trainare lo sviluppo di nuove produzioni che diversifichino il made in Italy e promuovano una “rinascita industriale”. A sostenerlo è un gruppo di oltre trenta docenti di economia industriale, regionale e urbana, del lavoro e macroeconomia, nel documento “La ripresa economica e la politica industriale e regionale”, elaborato nel 2014, che si può leggere qui. Ne sintetizziamo qui analisi e proposte.

Cinque settori prioritari
I centri urbani, sia di natura metropolitana che di medie dimensioni, devono rappresentare la struttura di base o il principio di organizzazione di un grande piano di investimenti mirato alla ripresa dell’economia europea e italiana. Da troppi anni i governi hanno trascurato di investire nelle città, che ormai soffrono di un’evidente sottocapitalizzazione in termini d’investimenti pubblici e privati, nonché nella realizzazione, modernizzazione, manutenzione e gestione di nuove indispensabili infrastrutture.

Le città hanno il vantaggio sia di una grande diversificazione produttiva, che facilita la complementarietà delle competenze diverse, che di una forte contiguità o accessibilità, che facilita l’interazione tra i cittadini e le imprese, e questo promuove la creatività e lo sviluppo di nuove produzioni innovative. Le aree urbane possono essere il nodo di un nuovo modello di sviluppo dell’economia nazionale trainato dalla domanda interna di servizi nuovi e qualificati da parte dei cittadini.

In quest’ottica è necessario superare un approccio esclusivamente tecnologico (smart cities). Così come sono necessari sia una strategia di sviluppo economico che parta dalla domanda interna o dai beni comuni delle città e dai bisogni emergenti dei cittadini, sia interventi operativi capaci di un impatto significativo sull’economia nazionale e sulla qualità della vita dei cittadini. Pertanto, una strategia di “diversificazione intelligente” (smart diversification) del sistema produttivo italiano richiede che vengano individuate nuove specializzazioni produttive e le infrastrutture chiave mancanti. In generale si può immaginare una nuova economia industriale incentrata su “idee motrici/mercati guida” che raggruppano più filiere.

Appare quindi prioritario concentrare gli investimenti nelle aree urbane, sia per il loro essere il luogo ove emergono per prima i nuovi bisogni e si concentra la domanda di nuovi beni e servizi, sia perché i centri urbani sono i nodi di infrastrutture territoriali e svolgono una funzione strategica nel valorizzare la connettività delle nuove reti materiali e immateriali, di trasporto di beni e di persone o di informazioni e conoscenze. Inoltre, si deve passare da una strategia orientata verso attori e progetti individuali a una strategia orientata verso attori e progetti collettivi.

Nelle città, quindi, si possono sviluppare “piani d’investimento” nei cinque settori prioritari di: housing, mobilità e logistica, energia e ambiente, cultura e turismo e salute, sanità e assistenza sociale.

Il ruolo delle città, nella nuova società della conoscenza, cambia profondamente. Esse diventano l’incubatore di nuove attività produttive soprattutto terziarie e la crescita della disoccupazione pone il problema dell’espansione della base occupazionale nelle aree urbane in un’epoca in cui la creazione di occupazione da tempo non avviene più nelle industrie manifatturiere. In questa prospettiva, il ruolo delle amministrazioni comunali e regionali diventa più importante. Queste possono agire sia sull’offerta che sulla domanda dei servizi nuovi che si creano nelle città, realizzando infrastrutture e investimenti pubblici e promuovendo l’aggregazione della domanda dei cittadini nei servizi nuovi connessi con l’abitazione, la mobilità sostenibile, il risparmio energetico e la riqualificazione ambientale, la cultura e il tempo libero e i servizi sociali e per la salute.

Si tratta in pratica di realizzare un circolo virtuoso che, partendo dalla domanda-offerta delle innovazioni necessarie ai nuovi bisogni dei cittadini evolva lungo il sentiero: miglioramento della qualità della vita- maggiori economie esterne-maggiore competitività urbana-innovazione e attrazione d’investimenti-sviluppo di nuovi settori a scala locale e nazionale.

Gli interventi nei diversi settori devono essere integrati/interconnessi operativamente tra loro e non vanno programmati separatamente. Sarebbe inoltre opportuno focalizzarsi innanzitutto sugli interventi che possono dare un risultato immediato (a sei mesi o un anno) e agire “chirurgicamente” sugli investimenti più urgenti e che riguardano i nodi della rete urbana e delle relazioni tra i centri urbani e il rispettivo territorio.

Le relazioni di complementarietà e di sinergia che si possono stabilire tra le singole iniziative vanno valorizzate attraverso strategie e azioni specifiche volte, ad esempio, alla nascita o al consolidamento di opportuni cluster industriali di rilevanza nazionale composti da imprese operanti nei settori ove la domanda da parte delle città italiane si mostra di peso maggiore in termini quantitativi, di innovazione tecnologica e di export potenziale.

In questa prospettiva, fra l’altro, le stazioni ferroviarie nelle città e le vaste aree ferroviarie contigue, ora scarsamente utilizzate e degradate, rappresentano non solo il nodo delle comunicazioni urbane ed extraurbane, ma possono anche diventare il polo per lo sviluppo del social housing per i ceti a basso reddito e di centri di residenza integrati per gli anziani, di servizi commerciali, culturali, sportivi e per il tempo libero, promossi con le associazioni dei cittadini e da grandi investitori istituzionali sia italiani che esteri.

Un aspetto da non sottovalutare è rappresentato dagli elementi soft della progettazione. Le idee progettuali di tipo innovativo possono emergere dal dibattito pubblico tra i cittadini e le loro associazioni e dal lavoro di esperti nelle università e nei centri di ricerca e devono tradursi nello sviluppo di progetti operativi di fattibilità con elevate caratteristiche tecniche, tramite un investimento consistente e sistematico di natura pubblica o delle imprese private o delle fondazioni bancarie o anche direttamente tramite il crowdfunding dei cittadini. Inoltre, si tratta di dare la giusta enfasi, nella valutazione dei progetti di politiche urbane, agli elementi immateriali, quali il marketing territoriale, la promozione, la comunicazione e gli aspetti gestionali delle iniziative.

Governance istituzionale e relazioni tra gli attori nella politica urbana
La riduzione dei servizi pubblici locali e regionali nei trasporti, formazione professionale e nella sanità comporterebbe una riduzione dell’occupazione sia nell’amministrazione pubblica che nelle imprese private fornitrici, una riduzione dei redditi e quindi dei consumi privati e della domanda aggregata, che traina la produzione di molte imprese in settori diversi. Il problema non sono i servizi pubblici da eliminare perché di dubbia utilità o la riduzione dei costi dei servizi pubblici di bassa qualità, ma la sostituzione di questi ultimi con servizi pubblici più innovativi e di migliore qualità per i cittadini e che utilizzino risorse umane più qualificate. L’accorpamento delle imprese di servizi collettivi è necessario non per ridurre i costi e le capacità produttive, ma per sostenere investimenti di maggiori dimensioni nel territorio e affrontare meglio la concorrenza estera e promuovere l’internazionalizzazione di queste imprese, che sono di rilevanza strategica per una “rinascita industriale” dell’economia italiana.

Dalla vendita delle proprietà immobiliari e delle partecipazioni azionarie degli enti locali, che produce deflazione e diminuisce il patrimonio collettivo, è necessario passare alla valorizzazione di questo patrimonio con aumenti di capitale destinati a investitori privati e che siano lo strumento per fare leva nella prospettiva di un aumento degli investimenti fissi lordi in nuovi servizi qualificati e infrastrutture.

In molti dei settori suindicati l’attività privata è possibile non solo nella fase della costruzione dell’infrastruttura ma anche in quella della gestione del servizio. Le nuove produzioni industriali e di servizio devono essere molto innovative e quindi in grado di assicurare un rendimento finanziario adeguato, per poter essere finanziate con risorse private e non, come nel passato, solamente con fondi pubblici. È necessario mobilitare il risparmio privato nel finanziamento di progetti molto qualificati. E a questo fine sarebbe opportuno creare un Fondo di investimento in ogni Regione, che permetta il finanziamento delle infrastrutture, di servizi privati e pubblici e di nuove imprese industriali innovative, attirando i finanziamenti della Banca europea degli investimenti e della Cassa depositi e prestiti, e che abbia un rating finanziario elevato potendo contare sulla garanzia dello Stato. Anche i singoli cittadini possono essere interessati a investire nel finanziamento di progetti che abbiano una finalità collettiva e una ricaduta positiva sullo sviluppo delle rispettive aree di residenza. Il Fondo potrebbe assicurare il credito alle imprese private e ai consorzi pubblico-privati per la costruzione e la gestione di servizi innovativi e di grandi infrastrutture o investire in modo transitorio nel capitale di nuove imprese private durante un periodo di avviamento per facilitare il collocamento sul mercato delle loro azioni.

Un ruolo chiave sia nella progettazione tecnica che nel coordinamento dei singoli progetti d’investimento e successivamente nell’offerta agli utilizzatori delle nuove produzioni di servizi collegati devono avere le grandi imprese pubblico-private nei servizi collettivi (public utilities), che hanno un forte radicamento nelle aree urbane e nel territorio italiano. In altri casi può essere opportuno partire dalle produzioni esistenti e sostenere i processi di evoluzione in atto.

In sostanza, non si esce dalla crisi in modo spontaneo. Per evitare una stagnazione secolare della produzione e un aumento ulteriore del tasso di disoccupazione nel 2015 è necessario un piano di azione straordinario che rilanci la crescita economica e aumenti la base occupazionale a partire dalle aree urbane. È necessario avviare un ciclo cumulativo di sviluppo, basato sulla creazione di nuove produzioni innovative, l’investimento nella nuova capacità produttiva necessaria e in posti lavoro tecnicamente qualificati, e che permetta di aumentare i redditi e quindi di aumentare la domanda aggregata.

Una task force in ogni Regione
Al posto delle centinaia di “tavoli di crisi” a livello nazionale e nelle diverse aree del paese sarebbe utile creare una task force in ogni Regione, che promuova la scoperta di nuove produzioni innovative, gli investimenti delle imprese private, l’attivazione dei necessari investimenti pubblici preliminari e complementari e che rimuova gli ostacoli amministrativi all’investimento delle imprese.

Tale task force pubblico-privata per la ripresa economica deve definire una piattaforma strategica comune o organizzare un numero limitato di “piani d’azione” (o “tavoli di sviluppo”) nei cinque ambiti strategici delle infrastrutture e dei servizi d’interesse collettivo indicati sopra e in altre possibili produzioni innovative ritenute fattibili e prioritarie. A tale task force deve essere assicurata la partecipazione sia degli operatori economici dei singoli settori considerati, che delle associazioni dei cittadini e degli utilizzatori dei servizi rispettivi, oltre che delle università, del mondo dei servizi professionali, della finanza di progetto, delle Pmi e delle imprese dei servizi di utilità collettivi (public utilities), dei sindacati, delle Camere di commercio e delle associazioni industriali. Il piano di azione per la crescita dovrebbe quindi essere articolato in un numero limitato di progetti operativi di fattibilità distribuiti sul territorio regionale e focalizzati in specifiche aree delle singole città.

Occorre, quindi, predisporre una “governance istituzionale” a scala regionale e nazionale nell’ambito della quale sia facilitato e reso efficace il processo di identificazione, valutazione della sostenibilità economico-finanziaria e selezione dei progetti che vadano a costituire un Piano di investimento regionale e nazionale mirato alla crescita dell’economia.

Si tratta di operare secondo la logica dello sviluppo sostenibile dal punto di vista economico sociale e ambientale, centrato su un modello che potremmo chiamare di governance bottom-up corretto. Infatti, si deve partire dal basso per far emergere i progetti in grado di risolvere i problemi urbani e coinvolgere gli attori locali più rilevanti ma, nello stesso tempo, questa azione va inquadrata in uno schema strategico territoriale più ampio, a scala regionale-nazionale, non solo per l’indicazione delle aree/settori di intervento, ma anche per fornire assistenza nella fase di progettazione e finanziamento e per l’integrazione delle singole progettualità secondo la logica delle reti di cooperazione e di sinergia e, quindi, per ottenere le economie di scala sul lato sia della domanda che dell’offerta.

La ripresa degli investimenti privati e pubblici, in conclusione, è legata a un rilancio della politica industriale e regionale, a una strategia di crescita basata sull’innovazione delle imprese e delle istituzioni e a un’efficace governance delle relazioni tra imprese, università, credito e amministrazioni pubbliche regionali, nazionali ed europee.

* Università di Roma “Tor Vergata”
** Università Cattolica, Piacenza