L'obiettivo è fissato al 2020. L'ambizione è alta: la metà delle famiglie italiane dovrà essere connessa a Internet a 100 megabit al secondo, anche se ovviamente la copertura non potrà mai essere uguale per tutti. Si dovrà comunque assicurare uno standard minimo di 30 megabit e dovranno essere le aziende a scegliere le tecnologie più adatte per raggiungere questi obiettivi nei prossimi cinque anni. Non ci sarà quindi l'immediato “switch off” dal rame alla fibra ottica che aveva fatto urlare i dirigenti (e gli azionisti) di Telecom all'”esproprio” da parte dello Stato, visto che il grosso della rete attuale è ancora nelle mani dell'ex monopolista.

Quello che bisogna spendere
E' dunque questa la “linea” scelta dal governo Renzi a proposito di rete e innovazione delle infrastrutture tecnologiche per la navigazione sul web? Prima di cercare di capire come stanno le cose, è opportuno chiarire il quadro. Si tratta infatti di una partita molto importante da vari punti di vista, a cominciare ovviamente da quello finanziario visto che gli operatori del settori stimano in 91 miliardi il mercato potenziale delle ICT in Italia. Secondo i vari studi (il rapporto Assinform 2014 per esempio), per andare al passo con il resto dell'Europa l'Italia dovrebbe spendere ogni anno almeno 23 miliardi in più di quello che già spende. Senza contare che l'Italia è al penultimo posto nella classifica dell'indice di connettività tra i paesi europei. È stato il Sole24Ore a citare per esempio uno studio commissionato dalla Ue per stabilire un indicatore sintetico della connettività (Indice Desi, Digital economy and society index) secondo cui l'Italia è al venticinquesimo posto. Peggio di noi stanno per ora solo la Grecia, la Bulgaria e la Romania. Si tratta dunque di una fotografia impietosa perché mette in luce la contraddizione lampante tra un paese (l'Italia) tuttora ai primi posti nelle classifiche industriali manifatturiere e nello stesso tempo agli ultimi posti come livello di innovazione tecnologia e organizzazione delle comunicazioni.

Il governo investirà davvero sulla banda larga?
Dalle dichiarazioni del governo, dopo il Consiglio dei ministri che ha affrontato la questione e lanciato un piano da 6 miliardi di euro, si evince la volontà di dare un impulso al settore. “La banda larga è il perno dello sviluppo futuro del settore tlc e "tutti gli operatori hanno compreso la priorità di questo processo", ha detto per esempio il viceministro dello Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, specificando che "il governo è molto impegnato nella realizzazione in tempi rapidi della banda larga". Anche se poi i tempi e i modi di questo processo sono ancora tutti da chiarire. Polemica per esempio la dichiarazione rilasciata nel corso di una trasmissione su La7 da Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera: il governo ha stanziato risorse per la banda larga? Bene, allora si faccia diventare questa scelta la vera priorità. Le risorse servono subito, vanno spese e non bastano. Ne servono almeno il doppio, tra i 12 e 15 miliardi”.

Il rapporto tra pubblico e privato
Ma allora qual è la vera linea su cui il governo Renzi si muoverà? E che cosa ci possiamo aspettare dalle aziende? In primo luogo, spiega la Cgil nazionale, c'è da fare una prima distinzione tra due linee su cui ci si sta muovendo. Per le infrastrutture risultano essere a disposizione complessivamente risorse pubbliche per 6 miliardi a cui si aggiungono due miliardi privati ricavabili dai piani industriali delle aziende. Le risorse pubbliche saranno utilizzate diversamente nelle quattro aree (cluster) individuate dal piano del governo che vanno da quelle più profittevoli e convenienti in termini di ritorno degli investimenti a quelle cosiddette a fallimento di mercato e in cui non conviene investire per un privato. Il piano ha avuto una sua evoluzione e quindi si richiede di centrare gli obiettivi europei al 2020 in termini di velocità di connessione (vedi sopra). Sono state riprese inoltre tutte le disposizioni già presenti nello “sblocca Italia” e che riguardano gli incentivi fiscali agli investimenti, la condivisione delle infrastrutture, il catasto delle infrastrutture, i limiti in materia di elettromagnetismo. Ulteriore possibilità viene introdotta con la previsione, qualora la domanda non fosse adeguata, di voucher per incentivare il passaggio dei clienti verso la fibra ottica.

Il nodo dei decreti attuativi
Una questione che condizionerà tutti i progetti di rilancio delle telecomunicazioni italiane e quindi il raggiungimento degli obiettivi indicati è costituito dai provvedimenti applicativi, alcuni dei quali potrebbero venire con decreti specifici o con emendamenti a provvedimenti in discussione in Parlamento come “investment compact”. Questi interventi attuativi riguarderebbero questioni spinose quali il servizio universale, con tutto il corollario della sua remunerazione e la convergenza dei prezzi da riconoscere agli operatori per “la fibra” incentivata rispetto a quelli del “rame”. Il governo ha inoltre dichiarato di volersi attenere al mercato e agli operatori per quanto riguarda le tecnologie da utilizzare. Sembrerebbe una scelta ragionevole e di buon senso. La stessa minaccia di intervenire per decreto in termini drastici per indicare una data di passaggio dal rame alla fibra conferma questa linea prudenziale. Occorre peraltro aggiungere che tuttavia questo atteggiamento non è sufficiente ed è necessario, se si vogliono raggiungere gli obiettivi che l'Europa e il governo indicano, che il modello italiano di rapporto tra pubblico e privato come lo si è conosciuto dalla privatizzazione di Telecom ad oggi veda dei cambiamenti sostanziali.

La trattativa Telecom-Cassa Depositi e prestiti
Uno dei punti fondamentali che caratterizzerà per i prossimi anni le scelte dei decisori politici sul terreno dell’innovazione tecnologica riguarda il rapporto tra soggetto pubblico e soggetti privati, anche alla luce degli assetti che si sono determinati dopo le privatizzazioni. In ogni caso è urgente chiarire la situazione attuale. Secondo Rosario Strazzullo, responsabile delle politiche delle reti e le infrastrutture per la Cgil nazionale, la trattativa Telecom con Cassa Depositi e Prestiti deve avere una sua conclusione positiva perché senza di essa tutti gli obiettivi di grande salto tecnologico non risulterebbero credibili e nello stesso tempo rischieremmo la duplicazione di più reti con spreco di risorse, le stesse diverse soluzioni tecnologiche non risulterebbero gestibili ed assisteremmo a soluzioni differenziate ed inferiori non solo tra diversi cluster o aree di investimento ma anche all'interno delle stesse. Occorrerà verificare anche il coinvolgimento di tutti gli operatori presenti sul mercato. Quale soluzione specifica debbano trovare le imprese, se non spetta al governo, tantomeno può essere indicata dalle organizzazioni sindacali. Chiarito questo, è compito del governo dire esplicitamente agli operatori che non esiste alternativa a un accordo tra pubblico e imprese private visto il piano definito dall'esecutivo. Per quanto riguarda la Cgil varranno quindi ai fini di un giudizio di merito alcuni chiari punti di riferimento e cioè: le ricadute occupazionali comprensive degli appalti; l'avvio dei servizi in digitale a partire da quelli pubblici; la neutralità della rete; le ricadute industriali a partire dall'industria ICT.

Aprire un confronto vero
Per fare tutto questo, è impossibile pensare di affidare il comando assoluto alle sole aziende interessate. Una linea pericolosa che è sembrata emergere dalle dichiarazioni della ministra Guidi subito dopo il varo del Piano sulla banda larga. In questo caso non si possono ripetere gli errori del passato e si dovranno far convergere tutte le forze e le intelligenze in grado di dare un contributo innovativo. E si dovrà avere una presenza visibile e chiara dello Stato. Per questo, secondo la Cgil, servirebbe un confronto vero, che è stato praticamente assente fino ad ora. Un confronto con le organizzazioni sindacali che rappresentano i lavoratori e le lavoratrici; questo perché le ricadute sul lavoro e sui servizi ai cittadini sono stati il vero punto mancante di una discussione e di scelte che riguardano il futuro del Paese. La partita sarà lunga e difficile e sarà resa ancora più complicata dalle guerre per il predominio delle telecomunicazioni che già stanno scoppiando in Europa, come si rende evidente dalle tante polemiche sulla soluzione trovata al rompicapo economico e politico del roaming: nel testo varato da Bruxelles su proposta della Lettonia non è stata ufficialmente fissata la quantità minima garantita di sms, chiamate e dati a tariffa nazionale, perché dovrà essere negoziata con l' Europarlamento. La proposta dei 28 però punterebbe ad appena 5 sms, 5 minuti di chiamate effettuate e 5 ricevute, e 5 Mb di dati giornalieri non cumulabili per un massimo di 7 giorni l' anno. Ma ci sono eurodeputati che si sono giocati la campagna elettorale adottando una proposta per lo ' zero roaming' a Natale 2015 e che quindi ora annunciano battaglia politica, come per esempio ha detto la relatrice Pilar Del Castillo e la relatrice ombra Patrizia Toia, che ha giudicato "inaccettabile e scandaloso" il rinvio, mentre per il leader dei liberaldemocratici Guy Verhofstadt "gli Stati membri dovrebbero morire dalla vergogna” per le decisioni prese. Staremo a vedere le prossime puntate della guerra della banda larga.