La manifestazione della Cgil del 25 ottobre “può rappresentare il momento di svolta per far cambiare il clima nel paese sull'art.18, sul demansionamento e sullo Statuto dei lavoratori, temi delicatissimi che si stanno affrontando con una buona dose di superficialità”. Così il segretario generale della Filctem Cgil, Emilio Miceli, intervistato da RadioArticolo1 (qui il podcast). "Il Jobs Act - aggiunge - è un disegno di legge delega che sembra scritto da Confindustria in larga parte”, anzi, “dai falchi di Confindustria”. Le norme sul controllo a distanza, spiega, “le vogliono loro, ce le chiedono in tanti tavoli; anche quella sul demansionamento è un must delle imprese, soprattutto nella gestione delle crisi”.

Insomma, si parla sempre dell'art.18, ma anche il demansionamento “è davvero grave perché significa mettere in discussione la professionalità delle persone”. Tutti aspetti che, messi insieme, “porteranno tensioni” anche nel settore rappresentato da Miceli caratterizzato da buone relazioni industriali: “Se il sistema della contrattazione va verso una torsione di rottura delle garanzie universali - osserva - temo che faremo tutti un passo indietro che non servirà alla produttività”. Anche per questo, spiega, c'è la necessità “di spingere verso un processo unitario tra i sindacati”, un percorso “assolutamente necessario”. Se il mondo del lavoro dipendente rischia di essere marginalizzato, afferma Miceli, “il sindacato non può permettersi di rimanere diviso, di non cercate testardamente le ragioni che possono mettere insieme il mondo del lavoro, non i tre sindacati, ma il mondo del lavoro”.

Al di là della discussione sul Jobs Act, spiega poi, ci sono altri macigni che frenano gli investimenti, in primis il costo dell'energia. “Se ne parla tanto, ma nessuno si interroga sul perché siamo il paese più dipendente dall'estero, che paga la bolletta più alta e ha il mix energetico più costoso. Su questo Renzi ha fatto un timido passo in avanti, ma noi abbiamo bisogno di alzare il nostro tasso di autonomia energetica”. Su tutte spicca la vertenza dell'Eni e i guai in vista per gli stabilimenti di Gela e Marghera. “Il punto - in questo caso - è capire se si vuole prima 'valorizzare' l'Eni e poi vendere, oppure se cominciare a vendere subito. Mi pare che la scelta del governo sia la seconda, cioè quella di aumentare le perforazione in Italia e quindi dare modo all'Eni di poter estrarre di più. Questo va bene, perché l'Italia ha bisogno di alzare il suo 10% di sufficienza energetica”.

Quanto alle rinnovabili, “siamo un paese che, anche aiutato dagli incentivi, ha fatto passi da gigante e oggi siamo tra quelli che contano più rinnovabili. Il punto è che siamo arrivati a un tasso che va oltre gli obiettivi europei e però le rinnovabili sono ancora coperte da un sistema di incentivi onerosissimo per i cittadini, circa 11 miliardi l'anno di bollette, una cifra che riportata giù”. C'è un tentativo del governo di farlo, ma non basta: “Quando si è trattato di togliere la possibilità alla pensione a tanti lavoratori che erano già in mobilità, i famosi esodati, lo si è fatto con un colpo di spugna, una determinazione - conclude Miceli - che non c'è stata nei confronti di chi aveva acquistato i pannelli solari”.