"L'idea della pubblica amministrazione del governo Renzi è legata solo a tagli e risparmi. Invece il cambiamento vero sarebbe rovesciare questa idea: più lavoriamo, più rendiamo efficiente il sistema. Il lavoro è un fattore di crescita e non un costo, come sostiene Renzi e che è alla base del suo Jobs act". Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, nel suo intervento al seminario "Riprendere il cammino dello sviluppo si può: serve un vera Europa sociale e un'altra politica industriale", organizzato dalla Fiom, che si è svolto il 14 gennaio a Roma, alla Camera dei deputati. 

"Oggi – ha proseguito la leader Cgil – le politiche europee, improntate all'austerity, ci schiacciano e non si vede soluzione. I problemi italiani sono affrontati solo in relazione al debito. Ma se non riusciamo a mutualizzare  il nostro debito a livello europeo, prima o poi arriveremo a discutere di un altro problema, quello dell'uscita dall'euro".

Sull'idea di Stato, ha detto Camusso, "è il promo soggetto che deve avere una visione innovatrice, e farsi fautore del cambiamento. Siamo un paese che guarda con invidia alle innovazioni degli altri, ma le riproponiamo in scala micro e abbiamo introiettato l'idea che non siamo un paese di innovazione. Per aspirare a un nuovo modlelo di sviluppo proviamo a partire da alcuni ambiti: l'industria agroalimentare, il made in Italy, l'ambiente e il territorio. Il cambiamento va applicato alle nostre caratteristiche, incluso l'invecchiamento e la longevità della popolazione, cui però non si accompagnano adeguati servizi alla persona: anzi, al contrario, si continua a tagliare il welfare e così facendo si verso il regresso".

"Il cambiamento, finora – ha proseguito la dirigente sindacale –, l'abbiamo visto solo nelle condizioni dei lavoratori, che sono usciti penalizzati dalle riforme del governo: il Jobs act, in particolare, che anzichè risolvere i problemi, li aggrava e non affronta l'altro grande tema che abbiamo di fronte: quello delle diseguaglianze prodotte dalla crisi".

Anche il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, si è soffermato sul concetto di cambiamento. "Se ne parla tanto, ma a sproposito: Sul lavoro, è in atto un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, cui ha contribuito il governo. Dietro alla parola cambiamento, in realtà, c'è una fortissima centralizzazione dell'impresa, senza alcuna idea di giustizia sociale e senza alcun contraltare, senza che il sindacato possa esercitare il suo ruolo: non solo Renzi non si confronta con noi, ma siamo di fronte a un governo che non è stato eletto da nessuno. Se andassimo a votare, il suo livello di consenso sarebbe molto più basso di quanto non appaia dalle statistiche".

"Il risultato – ha continuato Landini – è che il livello della crisi, che non nasce in quesi anni, ma viene da lontano, è tale che bisognerebbe mettere insieme una serie di azioni e competenze per fronteggiarla, e produrre un cambiamento sui temi del lavoro, ripensando la politica industriale e l'intervento pubblico nel nostro Paese. Oggi stiamo peggio del 2011 e non ci aspettiamo alcun miglioramento quest'anno. Le scelte che ha fatto l'attuale governo non sono altro che le indicazioni elencate nella lettera della Bce inviata all'Italia nel 2011 e dei diktat della trojka di quell'anno. Renzi, insomma, ha completato tutto quello che non erano riusciti a fare i governi Monti e Letta, in particolare sulla cancellazione dei diritti dei lavoratori".

Il numero uno dei metalmeccanici Cgil, poi, ha annunciato un'assemblea nazionale dei delegati a febbraio dedicata al Jobs act, contro cui si percorreranno tutte le strade, compresa quella giuridica dei ricorsi, perchè "ci sono ampie parti dei decreti assolutamente incostituzionali, considerato che a parità di lavoro e contratto si assicurano diritti diversi ai lavoratori". 

La perdita dei diritti e l'aumento delle diseguaglianze in atto nel Paese, inoltre, per Landini, sono legati anche alla "schizofrenìa di un governo che ha sempre negato la nazionalizzazione temporanea dell'Ilva di Taranto, richiesta da anni dalla Fiom, e la propone ora, perchè non c'è più nessun privato disposto a comprare un'azienda piena di debiti e di problemi da risolvere. E dopo che tutti i commissariamenti portati avanti hanno fatto fatto solo perdere tanto tempo e tanti soldi. Renzi s'è messo poi la medaglia per il salvataggio di Electrolux, che abbiamo salvato ricorrendo ai contratti di solidarietà, che nella legge di Stabilità l'esecutivo ha definanziato e tagliato del 10%".

Il responsabile Fiom ha poi parlato dell'Ast di Terni, "salvata con i nostri scioperi a oltranza, perchè nella proposta che ci hanno fatto c'era licenziamenti e abbassamento dei salari", e del caso Fiat, "che ormai non è più in Italia, perchè la Fca ha sede all'estero. Le 1.500 assunzioni annunciate a Melfi sono una buona notizia, ma ricordiamoci che sono stati persi 5.500 posti di lavoro dal 2008 ad oggi in tgutti gli stabilimenti italiani, e che quasi tutti i lavoratori di Pomigliano, Cassino e Mirafiori sono ancora in cassa integrazione".

Per questo, secondo Landini, "bisogna realizzare un profondo cambiamento delle nostre politiche industriali, "perchè c'è il rischio che quel poco di industria pubblica rilmasta, Finmeccanica ed Eni ad esempio, sia svenduta a breve, e del nostro modello sociale, puntando sull'innovazione, la qualità del lavoro, la formazione, che non riguarda solo i lavoratori, ma gli imprenditori stessi, se è vero che appena il 25% risulta laureato, per la maggior parte poco istruiti e poco propensi a innovare".

Concetto alla base dell'intervento di Andrea Ricci, ricercatore dell'Isfol, che ha ricordato come "le politiche del mercato del lavoro condizionano i comportamenti delle imprese, e che il progressivo aumento dei contratti a tempo determinato nell'arco di vent'anni abbia ingenerato una riduzione dei salari e delle tutele, causando un dumping competitivo. Alla fine, le politiche di deregolamentazione del lavoro hanno danneggiato l'area euro, ma soprattutto l'Italia, che rtisulta essere oggi il Paese peggiore dal punto di vista delle tutele individuali. Da noi, al contrario che nei land tedeschi, la flessibilità dei contratti a tempo non si è trasformata in maggior produttività, ma al contrario ha danneggiato il nostro sistema".

Nella relazione d'apertura, Mariana Mazzucato, docente di Economia e innovazione all'università del Sussex, ha ripercorso tutte le tappe della crisi italiana. ”È una crisi che viene da lontano, risale ad almeno vent'anni fa, molto prima dell'euro. Ed è dovuto soprattutto alla mancanza anche questa ventennale di investimenti industriali e di innovazione. In Italia, il settore pubblico è visto come totalmente negativo. Viceversa, è proprio da lì che bisogna ripartire, con un new Deal  che coniughi pubblico e privato anche attraverso un modlelo di partnership, Nel resto del mondo è così. Marchionne, quando ha rilevato la Chrysler, è stato chiamato da Obama che ha imposto alla Fca di fare investimenti sui motori ibridi, puntando quindi sull'innovazione, pena la perdita dell'affare. E oggi i risultati di quella politica sono sotto gli occhi di tutti: crescita del 5% e disoccupazione al minimo".

"È proprio l'dea di pubblico che va ripensata – sottolinea l'economista –: una delle sfide che abbiamo davanti è quella di ricreare il concetto di pubblico al pari di quello di mercato, Poi bisogna capire che l'intervento dello Stato non è solo socializzazione del debito, ma anche possibilità di ricavi per le casse pubbliche. Il capitale pubblico può essere più efficace di quello privato e solo il settore pubblico può fare quelle scelte che orientano l'innovazione: basti pensare agli investimenti per la difesa, da cui sono scaturiti tanti prodotti rivelatisi indispensabili e fruttuosi per il paese".

Marcello Minenna, docente di Finanza quantitativa all'università Bocconi, è intervenuto sul programma di rifinanziamento del debito pubblico europeo, giudicando sbagliata tutta l'attuale politica dell'area euro. "Siamo arrivati ad avere diciotto costi del denaro in altrettanti paesi europei, e sui mercati finanziari mondiali l'euro si è già sgretolato, perchè la nostra moneta si regola attraverso lo spread. E se domani la Grecia non paga più i 140 miliardi di debiti ed esce dall'euro, quei soldi andranno ripartiti tra tutti gli altri paesi e rischia di saltare tutto il sistema. Ora, la deflazione ha complicato le cose, con il bilancio della Bce che risulta un quarto di quello della Federal reserve".

Le soluzioni possibili per uscire dall'impasse attuale? "Almeno due quelle indispensabili – suggerisce il docente bocconiano –: la prima, erogazione di credito da parte dell'economia reale, che porterebbe a un alleggerimento del sistema bancario, attualmente bloccato, ma per farlo, ci vogliono le garanzie degli stati membri. La seconda, è il congelamento del debito dei singoli paesi, che eviterebbero di pagare gli interessi, accompagnato da interventi di una Bce 'bad company'. È una ricetta già applicata dalla Federal reserve che negli Usa ha funzionato, abbassando l'inflazione sotto il 2% con il Pil salito al 4".

Il presidente Svimez, Adriano Giannola, ha lanciato l'allarme "sul rischio deserticazione che corre il nostro Mezzogiorno, in termini di capitale umano, risorse, infrastrutture.  Anche questo è un processo che parte da lontano, iniziato oltre vent'anni fa,  e il declino è inarrestabile. Oggi l'Italia crolla, con meno 15% del Pil dal 2010 ad oggi, proprio perchè è crollato il Sud, con 700.000 giovani che sono emigrati all'estero nell'ultimo decennio".

"La cosa paradossale – a giudizio dello studioso – è che proprio il Mezzogiorno, per la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo, potrebbe essere la chiave di volta per un nuovo miracolo italiano. Ma per farlo, ci vuole l'intervento pubblico, che non significa far risorgere il vecchio sistema  delle partecipazioni statali, ma che lo stato diventi regista di tutte le operazioni. Pensiamo all'hub di Gioia Tauro, il più grande Europa, dove però ora non c'è più una nave che si ferma e tutti i lavoratori sono finiti in cig, con gli armatori internazionali che scelgono i porti di Amburgo e Rotterdam perchè offrono servizi migliori e a costi più bassi. Se il governo vuole, cambiare verso è possibile e la strada passa proprio per il Sud e il Mediterraneo".

Francesco Garibaldo, direttore della Fondazione Claudio Sabattini, si è soffermato sulla struttura industriale dell'Unione europea e sui conseguenti problemi del lavoro esistenti sempre a livello europeo. "La strada giusta passa per il cambiamento, che vuol dire interventi di riqualificazione della struttura manifatturiera, oggi tutta incentrata sull'industria tedesca e sui paesi periferici che sia al sud sia al nord dell'area Ue da quella dipendono.  Sotto il profilo lavorativo, innovare significa pensare in termini di piena occupazione, basata in termini di prodotto più servizi, innovando produzioni tradizionali con il massimo di know how tecnologico possibile".

Infine, gli ultimi due contributi da parte di altrettanti sindacalisti, Emilio Miceli e Stefania Crogi. Il segretario generale della Filctem, ha insistito sull'esigenza impellente di cambiamento del nostro modello industriale. "Oggi il sistema italiano è talmente indebolito che non ragiona più come un paese industriale e ha rinunciato a presidiare interi settori. Prima sul mercatoi avevamo grandi player, come Eni ed Enel, che si collocavano tra i primi sette-otto a livello mondiale, oggi non ci sono più. Questo è il risultato di un liberismo sfrenato di lungo periodo e ora il nostro Paese non ha più neanche la propensione ad investire. Come invertire il trend? L'Unione europea ci deve mettere del suo, così come è necessario l'intervento pubblico nazionale, caduto sotto le forche caudine del bilancio. E non c'è più tempo da perdere: o si ricostruiscono al più presto le condizioni per ricostruire l'apparato industriale, o altrimenti, vedi in particolare il Sud, ci sarà spazio solo per qualche bonifica e nulla più".

E proprio dal Mezzogiorno ha preso le mosse l'intervento del segretario generale della Flai, ricordando come "nelle regioni del Sud le aziende agroalimentari hanno tutte chiuso i battenti. Ma tutto il nostro settore è quello che ha risentito di più della crisi. Pensiamo agli zuccherifici, dove si assiste anche a una debacle occupazionale, al comparto degli allevatori. E i governi che si sono succeduti sono tutti responsabili della situazione attuale, perchè hanno tutti attuato politiche in controtendenza rispetto alle indicazioni dell'Ue. Sotto il profilo lavorativo, dobbiamo combattere con il lavoro nero e sommerso, e la liberalizzazione dei voucher realizzata da Renzi, non va nella giusta direzione, perchè nel Sud non vengono utilizzati e continua il capolarato. Il settore ha bisogno di una connessione tra politiche italiane ed europee e di un rilancio delle politiche industriali. L'Expo 2015 potrebbe essere una grande occasione per ripartire, perchè la nostra industria agroalimentare vanta delle eccellenze e la qualità del lavoro potrebbe sottendere alla qualità del cibo italiano".