Con il decreto salvabanche "usciamo da una situazione d’incertezza e preoccupazione in cui eravamo finiti, dopo il caso delle quattro banche dell’anno scorso”. È quanto afferma Agostino Megale, segretario generale Fisac, ai microfoni di "Diamo credito al lavoro", la nuova rubrica di RadioArticolo1.

 

Quel provvedimento si può definire anche "salvarisparmio", osserva Megale, perché garantisce la piena tutela dei risparmiatori, oltrechè salva i posti di lavoro dei dipendenti degli istituti di credito in difficoltà, a cominciare da Monte dei Paschi di Siena, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara, Cassa di risparmio di Chieti, Banca Etruria, solo per citare i casi più eclatanti. "Sia pure in ritardo, il decreto del governo fa un’operazione di credito pubblico, che va salutata positivamente, per risanare, rilanciare e rimettere in prospettiva sul mercato le banche interessate, dando soluzioni stabili e strutturate”, sostiene il dirigente sindacale. 

Il decreto ha questo insieme di caratteristiche, anche se ancora a livello europeo non tutti i problemi aperti sono risolti. Megale aggiunge: "Chi ha ritenuto di votare contro il decreto, come ha fatto il M5S, fa solo tanto fumo, tanta demagogia e tanto populismo. L’intervento pubblico era necessario. Se il decreto non fosse passato, c’era il rischio concreto di fallimento per tante banche e circa 28.000 posti di lavoro sarebbero andati perduti, con tutto il caos conseguente e milioni di risparmiatori coinvolti nella spirale negativa. Con questo, non voglio dimenticare le responsabilità dei banchieri interessati, che sono pesantissime. Non a caso, la magistratura ha aperto una serie d’indagini per Mps, banche venete, banca Etruria, facendo un lavoro egregio. Chi ha sbagliato, deve pagare in prima persona, siamo noi i primi a pretenderlo”, rileva.

Nel provvedimento del governo vi sono altre azioni positive: ad esempio, delle concrete rassicurazioni nei confronti dei risparmiatori coinvolti delle quattro banche (Banca Marche, CariFerrara, CariChieti e Banca Etruria). "Si parla di rimborsi per chi ha acquistato titoli obbligazionari pericolosi, con un’estensione temporale fino al 31 maggio e con un rapporto di parentela fino al secondo grado - così il segretario -. Certo, vi sono ancora problemi occupazionali da risolvere per gli addetti delle banche succitate, ma la gestione transitoria è già partita e sarà definita utilizzando il fondo di solidarietà nazionale (nel complesso vi sono 85 milioni a disposizione), ricorrendo alla formula degli esodi volontari. Mentre entro il 30 aprile dovranno essere presentati i nuovi piani industriali degli istituti di credito coinvolti, al fine di garantire prospettive certe di rilancio e sviluppo. Il fondo pubblico, costituito nell’ambito del decreto, è pari a 20 miliardi, di cui 6 andranno per la ricapitalizzazione di Mps: in tal modo, il Tesoro acquisisce quasi il 70% del pacchetto azionario della banca ed ha la possibilità di cambiare consiglio di amministrazione e top manager". Questi ultimi, d’ora in poi - secondo quanto recita il decreto -, verranno retribuiti con una somma di non oltre quindici volte superiore agli stipendi medi del settore, che si aggirano sui 27.000 euro annui.

Mps è la prima sperimentazione di bad sharing in Europa, dove non c’è alcun tempo prefissato: solo quando la banca sarà effettivamente risanata, si darà il via all’operazione di mercato. "C’è un intervento pubblico - spiega Megale -, ma noi pretendiamo che non si facciano ulteriori sacrifici a danno dei lavoratori, nell’ambito del piano industriale da presentare. Se così fosse, lo rimanderemo immediatamente al mittente. No a nuovi drammi occupazionali, dopo gli oltre 8 mila posti di lavoro in meno già scontati da quell’istituto. I responsabili della banca devono liberare 27 miliardi di sofferenza, ma solo se sarà ripulita dai debiti, la banca può essere rilanciata. Questo è il vero problema, non certo quello occupazionale, e dev’essere chiaro a tutti. Tutto all’insegna della parola d’ordine trasparenza: nulla va più occultato a lavoratori e risparmiatori, com’è avvenuto in passato, anche perché stiamo parlando del terza banca del Paese. Va fatta una grande operazione di politica industriale. Sulla stessa falsariga, va fatta un’azione sulle banche venete, ma nessuno può pensare che dei due istituti di credito ne rimanga solo uno, chiudendo l’altro. E anche lì, dopo il risanamento e il consolidamento, ci vuole un nuovo piano industriale”, ha concluso l’esponente Cgil.