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I buoni propositi li lasciamo ai sognatori. Delle speranze che restano tali abbiamo le tasche piene, perciò con una giusta dose di cinismo l'augurio è che questo 2020 porti soprattutto concretezza e tanta discontinuità rispetto al passato. A partire da chi rischia di cominciare l'anno senza la certezza di uno stipendio. Altri dodici mesi a lottare per un pezzo di pane non è più tollerabile in un Paese dalle 160 vertenze ancora irrisolte.
L'Italia è affamata di lavoro. Di lavoro dignitoso, che sia sopra il carroponte di una nave, dietro la cassa di un supermercato, nel buio di una miniera o in sella a una bici. Di lavoro sicuro, i quasi mille morti dell'anno che ci lasciamo alle spalle sono una croce che nessun uomo di buona volontà può continuare ad accettare. Di lavoro sano e sostenibile, senza doverlo mai barattare con il sacrosanto diritto alla salute. Di lavoro certo, affinché migliaia di giovani non si sentano ospiti a casa loro e costretti ad emigrare per costruirsi un futuro migliore. Di lavoro giusto, con salari rispettosi del sudore degli uomini e delle donne. Di lavoro regolare e non sfruttato in un campo assolato di ingiustizia. Di lavoro vero, non svenduto da imprenditori da strapazzo o da multinazionali pronte a delocalizzare fabbriche e umanità.
Perciò in questo 2020 non accontentiamoci delle briciole, non sottostiamo a ricatti, non pieghiamoci alla legge del più forte. Abbiamo il diritto di pretendere il meglio. E abbiamo il dovere di provarci affinché sia un anno più attento alle persone che allo zerovirgola del Pil. Più aperto e meno ancorato ai propri confini. Più civile e meno fascista. Più sensibile e meno rancoroso. Più orientato verso il bene comune e non verso gli interessi personali. Più sociale e meno solitario. Più green e meno negazionista. Più rispettoso e meno volgare. Più umano e meno crudele. Più libero e meno sovranista.
Scattiamoci più foto panoramiche e meno selfie. Riacquistiamo la voglia di lottare collettivamente. Torniamo a sventolare i nostri ideali senza alcuna paura. Siamo tanti. Siamo quell’Italia che pochi giorni fa il presidente Mattarella ha definito “spesso silenziosa e che non ha mai smesso di darsi da fare”. Facciamo nostro l’invito del capo dello Stato: “Dobbiamo creare le condizioni che consentano a tutte le risorse di cui disponiamo di emergere e di esprimersi senza ostacoli e difficoltà. Con spirito e atteggiamento di reciproca solidarietà. Insieme”. La strada è in salita, è evidente, ma se non iniziamo a percorrerla con convinzione la cima resterà sempre un'utopia. E noi resteremo sempre semplici sognatori e mai cittadini consapevoli del nostro tempo e padroni del nostro destino.