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Chissà se sia il caso di essere più tranquilli dopo aver letto il post de Linkiesta.it, Dati alla mano, il boom di suicidi per la crisi non esiste, supportando tale tesi con le analisi di Daniela Cipolloni su DailyWired.it, I suicidi non sono aumentati per la crisi, oppure se non sia l'italico sistema di "utilizzare", ognuno a suo modo, la notizia del giorno. Tutto sta nel taglio che si vuole dare alla notizia o al modo in cui la si vuole utilizzare o presentare. E' indubbio che le motivazioni dell'insano gesto sono molteplici e, come scrive Massimo Gremellini su LaStampa.it, " La scelta di togliersi la vita attiene a una zona insondabile del cuore umano che ha a che fare con la fragilità, il dolore, la paura: mondi troppo profondi per farne oggetto di gargarismi politici".
E' fuori discussione la necessità di di capire i motivi che hanno portato una persona a togliersi la vita, magari sistematizzandoli per causa, al fine di individuare i supporti e gli interventi necessari per ridurre la tragedia. Come dare torto al post de Linkiesta.it, quando scrive che "...la piaga sociale dei suicidi è molto più vasta e complessa di come appare dai mezzi di informazione"; in effetti poco o niente si parla ad esempio dei suicidi nelle carceri, e ci vorrebbe tatto e misura a scrivere o parlare di un argomento così delicato. Ma questo riguarda anche chi ritiene che i suicidi non sono aumentati per la crisi, perché anche i dati riportati a sostegno di tale tesi sono discordanti rispetto, ad esempio, a quelli forniti dall'Eures, che nel secondo rapporto, Il suicidio in Italia al tempo della crisi, scrive: "E' in prevalenza la mancanza del lavoro o comunque di qualche prospettiva economica la ragione del dilagare dei suicidi nel nostro Paese, che ormai ogni giorno miete vittime soprattutto tra i disoccupati e tra i cosiddetti 'esodati' ". Si noti, l'Eures usa il termine "dilagare" e a sostegno di ciò che scrive riporta i seguenti dati:
fra gli "esodati" : +12,6% nel 2010 rispetto al 2009 e +16,8% rispetto al 2008;
nel 2010 si sono avuti 362 suicidi fra i disoccupati, superando i 357 del 2009, che già rappresentavano una forte impennata rispetto ai 270 "accertati" nel triennio precedente;
il numero dei suicidi tra i disoccupati, tra il 2008 e il 2010 si attesta al 39,2% del totale, salendo al 44,7% tra quanti hanno perso il lavoro.
Se si guarda alla componente maschile, la "cosa è ancora più preoccupante", in quanto da 213 casi nel 2008, si è passati a 303 nel 2009 e a 310 nel 2010, (attestandosi a +45,5%, tra il 2008 e il 2010), confermando così la centralità della variabile occupazionale nella definizione dell'identità e del ruolo sociale degli uomini.
Nella fascia di età tra i 45 e 54 anni i suicidi sono aumentati del 13,3%, rispetto al 2009; mentre nella fascia di età 55-64 anni la percentuale di aumento è +10,5%, il tutto a fronte di una crescita complessiva dell'8,1%.
Se i dati sono contrastanti, necessiterebbe un'indagine superiore e più accurata, proprio per evitare l'utilizzo strumentale di un fenomeno preoccupante; sarebbe molto utile verificare, soprattutto, a cosa è dovuto tale discrepanza, proprio per avere una lettura del fenomeno univoca. Altrimenti si corre il rischio che anche ritenere che "l'aumento dei suicidi per la crisi" non corrisponda alla verità, non dando la giusta rilevanza ad un reale e grave problema.
Ormai è noto che l'aumento dei suicidi si verifica sia in periodi di estrema crisi economica che nei momenti di maggiore benessere, per fattori diversi, e il comparare situazioni lontane, come l'Italia e la Grecia, rischia di non tenere conto di altri fattori, come ad esempio le condizioni sociali pre-crisi. Altrimenti, sempre a proposito della Grecia, è difficile leggere la verità, quando in un breve lasso di tempo si scrive che i suicidi per motivi economici sono la metà di quelli del nostro Paese e Mario Monti, non molto tempo fa, dichiara che "che in Grecia ce ne sono stati 1725", quasi voler dire che noi siamo ben lontani da quella tragedia!
Se da una parte sono necessari dati certi per suffragare notizie certe circa l'entità di un fenomeno, onde evitare l'improprio utilizzo strumentale di un tragico gesto, che ha una forte e pericolosa componente emulativa; dall'altra, sarebbe altrettanto pericoloso sminuirne la gravità, perché a fronte di un disagio è obbligatorio studiare i rimedi, oltre a valutare la situazione sociale scatenante. Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell'Ospedale Fatebenefratelli di Milano, nel post citato del DailyWired.it scrive: "I gesti estremi possono essere scatenati da fatti contingenti che esasperano la situazione economica già complessa, ma si innescano in personalità da tempo fragili e vulnerabili che non hanno avuto la possibilità di chiedere aiuto per la loro sofferenza psichica". Forse sono sicuramente individui "già sofferenti", ma un giusto ed equilibrato contesto sociale avrebbe potuto ridurre il numero dei suicidi. Se a fronte di una crisi terribile come l'attuale le risposte sono pensate esclusivamente "al taglio e al rigore", volgendo lo sguardo altrove e non nella direzione della disperazione; se chi amministra è insensibile al malessere dei molti; se la priorità sono i conti e non la crescita, lasciando che la disperazione coinvolga quasi tutti (esclusi i ricchi, i politici, gli amministratori pubblici, i manager privati, le banche e la finanza) e la tragedia colpisca sempre più persone, allora è difficile non pensare che il suicidio per motivo economico non cresca, visto che cresceranno sempre più le "persone fragili e vulnerabili".
Qual'è il numero statisticamente "necessario" per stabilire se un fenomeno è da prendere o meno in considerazione? Qual'è il dato significativamente importante perché un governo vari misure necessarie a risolverlo? I suicidi ci sono sempre stati e, forse, sarà difficile impedirli in futuro, ma è compito di un governo serio prendersi carico di tentare di risolvere le situazioni sociali scatenanti e di studiare sistemi di monitoraggio e supporto a chi ne richiede il bisogno. Tagliare e solo tagliare non crea e non sviluppa le condizioni necessarie.
In questo momento non è importante di chi sia la colpa di ciò che sta succedendo, ma è necessario prendere atto di ciò che è successo e di ciò che non si sta facendo per risolvere un fenomeno così grave.
E' incontestabile, come scrive Gremellini, che "la responsabilità della situazione sociale che fa da sfondo agli atti disperati è invece è piuttosto chiara. Negli ultimi vent'anni l'Italia è stata governata - bene o male non so, ma governata - soltanto dal primo governo Prodi. Il resto è stato un susseguirsi di agguati, proclami, scandali e cialtronate. Gli altri governi di sinistra hanno pensato unicamente a farsi male. Berlusconi ai fatti propri ... l'Italia l'hanno suicidata i partiti". La colpa di Monti, che lo rende correo, anche se vuole prenderne le distanze, è data dal fatto che la cura adottata è condizionata proprio da quei partiti che hanno propagato la malattia. A volte può bastare l'aspirina, ma talvolta è necessario intervenire anche con antibiotici e antinfiammatori. Dopodiché con un giusta dose di ricostituenti rimettere in sesto il malato.
E' importante non dimenticarlo mai: al suo insediamento propose "rigore, equità e crescita", perdendo per strada le ultime due; il "rigore" l'ha applicato solo ai lavoratori; si sono salvate le banche che non hanno fatto niente per salvare le piccole e medie imprese; si è ben guardato, nella tragicità del momento, di prelevare i soldi dove erano, i grandi capitali; non ha saputo (o non voluto) moralizzare i nostri deputati e amministratori pubblici; non ha saputo presentare un programma di interventi al di sopra dei condizionamenti dei partiti che lo appoggiano, per cui la buona cura si è rivelata un placebo; è intervenuto sulle pensioni, ha abolito l'articolo 18, ha fatto passare il pareggio di bilancio in Costituzione, anche se economisti e premi Nobel lo ritenevano un'assurdità. Questo lo rende correo.
Monti sa benissimo che i soldi fatti risparmiare al grande capitale, attraverso i vantaggi fiscali concessi, mai saranno investiti in lavoro da chi li risparmia. Sa benissimo che quei soldi vanno in cerca di altri soldi attraverso speculazioni che arricchiscono solo i pochi. Il premier sapeva benissimo che in Italia la manovra economica dell'agosto-settembre 2011 ha tagliato in tre anni 45 miliardi di servizi alle famiglie, pensioni, sanità, trasporti pubblici e non un solo euro è stato destinato creare direttamente occupazione, come ci ricorda Luciano Gallino sul suo ultimo libro, La lotta di classe dopo la lotta di classe. Lo sapeva, anzi, inasprendo le condizioni ha continuato sulla stessa strada e per ciò è correo. I lavoratori devono pagare le mancate entrate di quegli speculatori che, preoccupandosi solo di trovare forme di arricchimento facile, inaridiscono ogni giorno le casse dello stato. Questo lo fa complice dello stato di frustrazione, fragilità e paura creta nei lavoratori. Non può tirarsene indietro!
Certo, non è neanche aiutato dai suoi collaboratori, perché quando Antonio Mastrapasqua, presidente dell'Inps, dichiara: "Venti milioni di pensionati oggi prendono il 30-40% in più di quello che gli toccherebbe se oggi applicassimo agli assegni le regole che in futuro stabiliranno quelli dei loro figli", dimostra un'ottusità tipica di chi sa di poter contare su un grande stipendio e una grande pensione, pagate da tutti noi, senza che ci sia concessa la possibilità di valutare se almeno abbia un qualche merito. Questo signore, che in un giorno prende lo stipendio di un mese di un operaio, si permette di dire che sarebbe giusto riflettere su questa disuguaglianza, magari portando a ribasso le pensioni giustamente acquisite da chi ha lavorato una vita e non pensa minimamente a suggerire di tagliare il 50% degli stipendi d'oro; non gli viene in mente di tagliare le mega-pensioni di amministratori pubblici, parlamentari, le doppie pensioni, le pensioni baby ecc. e, magari, le quote risparmiate distribuirle sulle pensioni future. Monti è anche correo per la cialtroneria dei suoi collaboratori, perché i governi precedenti ne avevano abusato di certi incapaci e arroganti funzionari e noi avevamo il diritto di non vederne più. Non si può guarire un malato se non si hanno collaboratori con elevate qualità e, soprattutto, se non hanno la capacità di infondere quell'ottimismo necessario per creare fiducia, necessaria per guardare di nuovo al futuro, così da trasformare l'incertezza e la paura in speranza.
Post pubblicato su illavorononunamerce.blogspot.com