Molto si è discusso sul significato da attribuire alla camicia bianca indossata dai leader del socialismo europeo convenuti a Bologna per la chiusura della Festa nazionale dell’Unità. Per alcuni osservatori, quel bianco così ossessivo era lì a rappresentare la semplice conferma cromatica di una mutazione genetica avvenuta e, ormai, senza più scampo. Dopo aver per anni atteso le magnifiche sorti del socialismo europeo, adesso diventa un po’ amaro vedere un progetto di modernizzazione del soggetto politico (all’insegna del rosso, però, che ora si può rintracciare solo nelle manifestazioni del sindacato) incarnato da allegri leader che disquisiscono dinanzi alla folla (invero scarsa) sulle qualità del tortellino da servire in brodo o al ragù. Ma è la post-politica in cui le idee cedono alla comunicazione, bellezza!

Ora, siccome le immagini e i semplici colori non hanno incorporate delle parole o delle frasi compiute che ne fissino il significato in un modo univoco, è possibile avvalersi del loro carattere strutturalmente polisenso per inseguire altre, e anche un po’ fantasiose certo, soluzioni interpretative al dilemma dell’inopinato bianco estivo bolognese.

Rovistando negli angoli della memoria, quella camicia bianca esibita dinanzi alle telecamere dai giulivi segretari socialisti, che nelle foto di rito uscite su molti giornali europei sembrano un po’ dei toreri usciti indenni dopo una corrida (per dire su quale strada scivolosa è impegnato il sempre meno mitico Pse, schiavo delle esigenze del marketing), fa però venire in mente altri momenti della storia d’Italia. In particolare, rievoca la vicenda di un oscuro concittadino di Renzi, cui la sorte regalò un’esperienza pubblica assai travagliata e una vita privata molto sventurata. Si tratta di Pietro Carnesecchi, nato sulle rive dell’Arno nel 1508, imprigionato, processato, decapitato e quindi arso a Roma dal giustiziere clericale il primo giorno di ottobre del 1567.

Giuliano Procacci, nella sua splendida “Storia degli italiani”, uscita per Laterza, così ne raccontava la fine atroce, con un tocco di penna quasi letterario. “Recandosi al supplizio, Carnesecchi indossava una camicia immacolata, un paio di guanti nuovi e reggeva in mano un fazzoletto bianco”. Il prete umanista, con addosso la camicia bianca, aveva il solo torto di essere un eretico, cioè di sostenere senza esitazioni, e ripensamenti opportunistici nel corso dei processi organizzati contro di lui, le ragioni dottrinarie della riforma protestante. Per ambizioni di potere, Cosimo I dei Medici tradì la loro antica amicizia, consegnandolo alle sacre cure dell’Inquisizione e al devoto servizio di Santa Madre Chiesa.

Il bianco visto a Bologna non era certo un omaggio a Carnesecchi. Lo sconcio (perché di questo si tratta) della camicia bianca venduta ai flash come il simbolo ufficiale di una Festa dell’Unità, che dovrebbe essere addobbata di rosso in ogni suo angolo, non può essere cancellato facilmente. E del resto, si sa, le ferite simboliche si rimarginano con più difficoltà di altre. In ogni caso, mala tempora davvero. Il fatto è che in giro non se ne vedono più di personaggi politici con la tempra di Umberto Terracini, che soleva dire: “Noi siamo più tenaci del tempo”.