“D’ora in poi, conto fino a dieci prima di parlare. E comunque, prima di parlare, penso a quello che devo dire e a come dirlo. Senza lasciare che la lingua sia più veloce del cervello e che il gusto della battuta mi trascini su sentieri che poi mi pentirò di aver preso. “Perché è chiaro che certe affermazioni non le faccio perché le penso, ma perché sono talmente sotto pressione che mi scappano. Le cose cui far fronte sono così tante e la situazione politica così complicata – con la riforma elettorale, quella istituzionale, il Patto del Nazareno, il paese che crolla (letteralmente) a pezzi, l’Europa che fa finta di stare tranquilla, la Germania che pensa solo a sé stessa –, che ci manca solo il sindacato con le sue richieste per farmi uscire di testa.

Comunque, d’ora in poi la devo proprio smettere con certe uscite. Anche perché poi le cose sono contagiose. E se tutti dimostrano per gli altri lo scarso rispetto che – ogni tanto, ma solo perché sono toscano fino nel midollo, sia chiaro – dimostro io, la situazione diventa incontrollabile. Tutti contro tutti: ci manca solo questo. D’ora in poi, dunque, calma e gesso. In fondo non c’è bisogno di andare ogni giorno in radio o in televisione, e neppure di twittare a ogni pie’ sospinto. Magari mi concentro di più sulle cose da fare.

Magari sento anche qualche altra campana sulle questioni economiche. È vero, per gli industriali (e per Marchionne in particolare) ho un debole. Mi piacciono le soluzioni nette e chiare. E l’amministratore delegato di Fiat – pardon, di Fca – è uno che parla chiaro, magari poi non fa quello che promette, ma è chiaro e la gente lo capisce. Però credo davvero che sarebbe opportuno ascoltare anche qualcun altro: in fondo il partito che ho ‘scalato’ si chiama democratico e non monocratico. E viene (anche) da una tradizione che non posso buttare così, semplicemente all’ortiche. Se no poi va a finire che prima o poi me lo ‘scala’ qualcun altro, questo partito. E a me tocca tornare in Toscana…”.

Ho fatto un sogno. Ma poi mi sono svegliato.