I dati sono stati resi noti proprio nei giorni scorsi. Si riferiscono al tesseramento 2016 della Cgil Emilia Romagna, che si è chiuso con un incoraggiante segno positivo: in aumento il numero complessivo degli iscritti, che si attesta a fine anno a 822.947, più 771 rispetto al 2015. Crescono in particolare i lavoratori attivi, che ammontano a quota 362.435, più 2.558 rispetto all’anno precedente, pari al 44% del totale delle adesioni. “È vero, aumentiamo notevolmente il livello di iscrizione tra gli attivi – commenta soddisfatto a Rassegna Luigi Giove, segretario generale della Cgil regionale –: questo significa che in un momento di crisi, di grande difficoltà delle imprese della regione, noi siamo nelle condizioni di leggere anche le evoluzioni del mercato del lavoro e dell’economia”.

Rassegna Su quali altri aspetti, tra quelli emersi dal tesseramento, porresti l’accento?

Giove Se si approfondiscono un po’ i dati, emerge che persiste una difficoltà tra gli addetti della manifattura, segnale abbastanza evidente che la crisi non è finita e, anzi, colpisce ancora con una certa durezza. Allo stesso tempo, si registra un aumento notevole degli iscritti nel terziario e nelle fasce di precariato, come testimonia il buon risultato di Filcams e Nidil. Questo perché è cambiato il mercato del lavoro, sono aumentate le forme di impiego non standard, così come sono aumentati gli occupati nei servizi. Non un fatto di per sé inedito: l’elemento che sicuramente noi cogliamo positivamente è la capacità confermata – anzi, rafforzata – della Cgil Emilia Romagna di leggere e rappresentare queste modifiche che si stanno determinando sul territorio.

Rassegna E tra le nuove generazioni?

Giove Ecco un altro dato importantissimo. Non esiste in Emilia Romagna, e forse nell’intero Paese, un’altra organizzazione in grado, come la Cgil, di ottenere l’adesione di oltre 66 mila giovani. Per questo dico che sarebbe ora di finirla con questa storia per cui la Cgil rappresenterebbe solo una parte di lavoratori, quelli maggiormente garantiti, e per la gran maggioranza i pensionati. Si tratta di una descrizione sempre meno vera: quasi il 20% dei nostri iscritti attivi oggi ha meno di 35 anni.

Rassegna Ricapitolando, buone performance in particolare tra i giovani e nelle categorie dove maggiore è la presenza di lavoratori precari. Quanto ha influito in questo risultato l’impegno della Cgil nella campagna per il “sì” ai referendum su voucher e appalti?

Giove Molto. Percepiamo un enorme interesse attorno ai referendum da noi proposti, un interesse che corrisponde a una voglia di riscatto soprattutto tra le nuove generazioni. E molto apprezzata ritengo sia anche la nostra decisione di non limitarci a una mera azione difensiva rispetto agli attacchi ai diritti. Un impegno concreto, una sfida, che non può che dare buoni frutti in termini di consenso.

Rassegna Un impegno che, specialmente in Emilia Romagna, viene da lontano.

Giove Sì, in particolare sul versante degli appalti, la Cgil e le sue categorie sono in campo ormai da anni in un’attività contrattuale e di contrasto all’illegalità. Non c’è dubbio che il tema presenti le sue complessità, che tuttavia hanno trovato una sintesi nell’iniziativa referendaria, mediante la quale si intende ripristinare una regola di responsabilità sociale, prima ancora che in solido, da parte delle imprese, difendendo in questo modo i diritti dei lavoratori coinvolti in processi di esternalizzazione e nei cambi di appalto. Lo stesso discorso vale per i voucher, dove il dato che emerge è che il lavoro viene esercitato sempre più in una forma precaria, indistinta, senza diritti, senza tutele. Per tutte queste ragioni, abbiamo deciso che non siamo più disposti ad accontentarci di una logica che si limita a ridurre il danno. La sfida – per tutta la Cgil e, dunque, anche per la Cgil dell’Emilia Romagna – è quella di riconquistare diritti. Questo è il punto centrale dell'iniziativa referendaria, che fa in modo che i lavoratori ci riconoscano come un soggetto credibile. Forse, in alcuni casi, come l'ultimo soggetto credibile.

Rassegna A luglio saranno passati due anni dalla firma del Patto per il lavoro sottoscritto dalla Regione e dalle parti sociali emiliano-romagnole. Che bilancio ne fai e, soprattutto, a che punto è la sua applicazione?

Giove Il bilancio è positivo, nel senso che con quel Patto noi abbiamo innanzitutto dimostrato che il confronto a livello regionale tra governo e corpi sociali intermedi non è un mero fatto di autorappresentazione, ma al contrario serve a riconoscere e conseguentemente a tentare di risolvere i problemi concreti che la nostra regione si trova di volta in volta ad affrontare, innanzitutto attraverso l’impegno delle parti firmatarie a non procedere ad azioni unilaterali e ricercando soluzioni condivise finalizzate a mantenere i livelli occupazionali. Dire che questo ci abbia consentito di raggiungere tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissati all’inizio sarebbe troppo. Di sicuro, abbiamo in mano degli elementi che, dal punto di vista quantitativo, ci stanno dando ragione, mentre invece una lettura più qualitativa riferita a quale lavoro si è sviluppato in questa regione in questi due anni, ci fa dire che probabilmente c'è ancora molto da fare. Dal punto di vista però dell'impostazione, cioè di come la nostra regione sta immaginando di crescere per il futuro sul piano della sostenibilità ambientale, della qualità del lavoro, dell’inclusività nell'accesso ai servizi, della capillarità della presenza delle istituzioni e del riconoscimento di un ruolo contrattuale alle organizzazioni sindacali, possiamo senz’altro dire che stiamo viaggiando a un ritmo sostenuto. A questo proposito, consideriamo un fatto importante aver ragionato a livello regionale di piano energetico, di piano della mobilità e di legge sull'urbanistica che riduce fino ad azzerare il consumo di suolo. Così come assai significativo è l’aver individuato il mese di marzo come la scadenza per l’istituzione del fondo regionale di sanità integrativa. Ritengo che sarà proprio questo uno degli elementi sui quali misureremo fino in fondo l’efficacia del Patto per il lavoro. Voglio dire che se saremo in grado di fare un fondo sanitario regionale aperto al contributo della contrattazione integrativa e nazionale, con fondi anche pubblici, per garantire prestazioni fuori dai Livelli essenziali di assistenza, ma garantite in termini universalistici a tutti, avremo dato un contributo serio al tema del welfare integrativo.

Rassegna Di nuovo sul tema della legalità. È giunto ormai a un punto avanzato il processo Aemilia, iniziato nel gennaio 2015 con un’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, che ha visto centinaia di arresti in Emilia Romagna, Lombardia e Calabria e quasi 500 milioni di euro di valore dei beni sequestrati. Qual è stato – e qual è ancora oggi – in questa vicenda giudiziaria il ruolo della Cgil?

Giove Un ruolo attivo, in coerenza con la funzione di contrasto alle mafie esercitata nelle tante situazioni nelle quali abbiamo intercettato l’irregolarità del lavoro e l’illegalità economica. Un ruolo che la Cgil, assieme a molte sue categorie sul territorio, sostiene da anni, denunciando una situazione insostenibile, soprattutto in alcuni settori. Penso in particolare all’edilizia, ma anche al trasporto, al facchinaggio, al movimento terra, alla gestione delle cave, fino alla gestione delle macchinette mangia soldi o delle scommesse. Ora il processo entra nel vivo della parte forse più delicata, quella che riguarda lo sfruttamento del lavoro. Comincia a emergere chiaramente, e in tutta la sua pesantezza, soprattutto l’attività di caporalato svolta dalla criminalità organizzata nei confronti dei lavoratori edili nella ricostruzione post terremoto.

Rassegna L’importante ruolo svolto dalla Cgil nel contrasto alla criminalità organizzata ha reso naturale, e logicamente consequenziale, la scelta di costituirsi parte civile nel processo, assieme alle Camere del lavoro di Modena e Reggio Emilia e a Cisl e Uil regionali…

Giove Sì, e non poteva essere altrimenti: il lavoro è un punto centrale, e non certo da oggi, nelle dinamiche di infiltrazione delle mafie nell’economia legale. Oltre alla capacità delle associazioni criminali di condizionare interi settori, l’indagine ha evidenziato proprio l’insieme di atti, in particolare dell’organizzazione ’ndranghetista, finalizzati allo stravolgimento delle regole del mercato del lavoro e alla lesione dei diritti dei lavoratori. Un vulnus di cui a pagare le conseguenze sono specialmente le organizzazioni sindacali. Questo naturalmente non significa che ci siamo costituiti parte civile perché semplicemente ritieniamo di aver ricevuto un danno dalla presenza criminale. Certo, tutto questo ci preoccupa, e anche molto. Ma ad allarmarci ancora di più è il fatto che, laddove l’azione dei clan è particolarmente pervasiva, ai lavoratori non è consentito di partecipare attivamente alla vita delle loro imprese. Un diritto negato, che noi riteniamo sia giusto rivendicare anche processualmente. Perché se in un dato territorio c’è un’organizzazione mafiosa che impone le sue leggi, negando l’esercizio delle più elementari regole di democrazia e nel contempo facendo fuori le realtà produttive più sane, quelle che potrebbero consentire di far crescere il tessuto economico e sociale, a rimetterci sono tutti, non solo il sindacato e la Cgil.