Tanto rumore per (quasi) nulla. Solo pochi giorni fa il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha espresso per l'ennesima volta la propria soddisfazione per il successo di Garanzia giovani, ma i dati sembrano dimostrare l’esatto opposto. La distorsione propagandata dal governo, che furbamente si sofferma soltanto sulle percentuali dei presi in carico e non sulle assunzioni vere e proprie, oscura la mancata partecipazione al progetto che già dall’inizio ha coinvolto meno della metà del bacino potenziale. L’enorme sforzo economico – tra i più significativi di sempre nelle politiche di attivazione del nostro paese – sembra dunque essersi tradotto esclusivamente in ulteriori finanziamenti alle imprese, sia nella forma del bonus occupazionale, sia nel pagamento di manodopera sottopagata in forma di tirocinio, sempre di più una delle frontiere “estreme” del precariato.

Se l’impatto dal punto di vista occupazionale è del tutto trascurabile, emerge chiaramente il profilo di un “mercato delle aspettative” con migliaia di giovani disoccupati. Le numerose inefficienze e i ritardi tratteggiano un quadro complessivo di difficoltà delle politiche di attivazione che si conferma – anche in questa occasione – come il vero tasto dolente del welfare italiano. Possiamo dunque affermare che gli obiettivi non sono stati raggiunti, né rispetto al periodo della transizione al lavoro ancora incredibilmente distante dai quattro mesi ipotizzati, né per gli esiti occupazionali. L’inadeguatezza organizzativa, ma soprattutto la forte frammentazione dell’implementazione di Garanzia giovani su base regionale, lasciano aperti molti interrogativi.

Il caso Emilia Romagna
In questo scenario, l’Emilia Romagna ha compiuto scelte differenti da altri territori, con impatto positivo nel numero complessivo dei contratti attivati. Un risultato inficiato, però, dall’elevato numero di contratti a tempo determinato e in somministrazione. La Regione ha impiegato per il progetto circa 75 milioni, esaurendo la quasi totalità delle risorse a disposizione. La particolarità riguarda la maggiore strutturazione del programma, che prevede al termine del tirocinio una verifica condotta da un apposito servizio regionale con tanto di certificazione delle competenze acquisite. Altre scelte riguardano il contributo all’indennità: è stato fissato un limite massimo a 300 euro attraverso i fondi (lasciando a carico delle imprese i rimanenti 150 euro per raggiungere l’importo minimo previsto), mentre i bonus per le assunzioni sono riservati ai soli contratti a tempo indeterminato.

Dati alla mano, il progetto ha dimostrato evidenti limiti strutturali. In particolare, i ritardi amministrativi hanno mostrato sin da subito l’eccessiva ambizione dell’obiettivo europeo dei quattro mesi di tempo per trovare lavoro, mancandolo inesorabilmente se consideriamo che a oggi – dopo due anni – circa un iscritto su quattro al programma non è stato nemmeno preso in carico. Il fallimento emerge anche dallo scarso coinvolgimento della platea potenziale. Secondo il rapporto Isfol, a marzo 2016 in tutta Italia gli iscritti erano appena 988mila, cifra davvero esigua considerando che il numero dei Neet a dicembre 2015 è quasi 2 milioni e mezzo (fonte Istat). In altre parole, la registrazione è stata effettuata da meno della metà del target potenziale. Non va molto meglio per l’Emilia-Romagna, dove hanno partecipato appena 60mila persone su un bacino di potenziale di 111mila.

Nella regione ha ricevuto riposta il 76,1% dei richiedenti. In questo caso una posizione leggermente superiore alla media nazionale, aggravata però dal quasi pieno utilizzo delle risorse a disposizione (91%). Il Veneto, ad esempio, è riuscito a coprire il 15% in più di registrazioni usando solo l'86% delle risorse. Ancora a livello nazionale, circa il 65% dei registrati ha solo svolto il colloquio di orientamento. Anche in questo caso va meglio per l’Emilia-Romagna, dove si è dato seguito a 27mila pratiche, ossia circa il 60% dei giovani presi in carico, il 44% degli iscritti al progetto, ma appena il 24% degli aventi diritto.

Le misure erogate a livello nazionale vedono una netta prevalenza dei tirocini per una spesa complessiva di oltre 400 milioni. Un dato importante che potrebbe anche essere accolto positivamente, se non fosse che le offerte disponibili sul sito sono alquanto deludenti dal punto di vista formativo: baristi, camerieri, commessi e addirittura badanti. Nonostante il tirocinio sia divenuto ormai un modo per tanti giovani per mettere un “piede nella porta” nel mercato del lavoro, l’impiego di risorse pubbliche per finanziare attività di questo tipo solleva molti dubbi sul reale apporto formativo. Sembra piuttosto che, anche in questo caso, sia servito a nascondere un’elusione dei minimi salariali previsti dalla contrattazione collettiva, nell’intento di ottenere una manodopera flessibile a titolo gratuito o quasi, facendo leva sulle fragili aspettative dei richiedenti.

Bonus, un vantaggio per le imprese
Un'ulteriore conferma di questa ipotesi proviene dall’erogazione dei bonus, ossia gli incentivi economici alle imprese che assumono giovani registrati nel programma o che convertono la misura di inserimento in impiego effettivo. L’importo varia tra i 1.500 ai 6.000 euro a seconda della tipologia di assunzione e del profiling degli assunti, ossia le loro caratteristiche di occupabilità legate al titolo di studio e a esperienze lavorative passate. Nonostante questo sforzo economico – che ha visto a livello nazionale un trasferimento monetario alle imprese di circa 110 milioni – le assunzioni hanno riguardato appena 32mila persone, meno a dell’1% della platea potenziale. Tra i fortunati che hanno ottenuto un contratto, il 91,6% è a tempo indeterminato, con una tendenza crescente nell’utilizzo del bonus per l’apprendistato professionalizzante che riguarda il 28,2% delle istanze. Le assunzioni a tempo determinato rappresentano invece il 6,1%, con prevalenza della durata inferiore a 12 mesi (4,6%).

L’implementazione in Emilia-Romagna vede alcune differenze sostanziali. L’investimento è rivolto soprattutto a iniziative di formazione (erogate a oltre 8mila giovani). Seguono i programmi di reinserimento in un percorso formativo per i minorenni privi di qualifica o di diploma (ne sono stati coinvolti 4.507 per una spesa totale di circa 30 milioni), ma anche iniziative per l’avvio di attività autonome e imprenditoriale (che hanno riguardato però appena 373 giovani). Ad aver raggiunto l’ultimo livello, ossia la stipula di un vero e proprio contratto, sono stati 18.360 utenti pari a circa il 41% dei presi in carico, al 30% del totale degli iscritti, ma appena al 15% dei potenziali beneficiari. È inoltre significativo il dato delle tipologie di contratti: domina nel 62% dei casi il tempo determinato, seguito dall'apprendistato professionalizzante (22%), mentre solo il 14% ha firmato un tempo indeterminato.

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