Pubblichiamo un estratto del racconto/biografia “Eschilo Licursi (1899-1964)” tratto dal libro Città distrutte. Sei biografie infedeli, di Davide Orecchio, per gentile concessione di Gaffi editore.


Nasce e muore d’autunno. In là con gli anni lo chiamano zio che spetta a chi è anziano ma non tragga in errore, lo deve al rispetto. Il Catalogo dei molisani illustri (Campobasso 1978, p. 154) lo mostra nelle vie del centro “sempre attorniato dalle persone che chiedono o ringraziano”. Poi lontano dal capoluogo la riconoscenza è meno pudica, l’omaggio dei cappelli fa posto all’assedio dei braccianti, quando viaggia per le campagne o sulle colline aspre “l’orda dei necessitanti ne colma l’ascolto” (G. Florio, Ricordi della terra, Isernia 1960, p. 182), come da “infissi in rovina” le suppliche “scivolano tra i denti” sul tragitto di labbra stinte quanto intonaci (ibidem, p. 61), gli stringono l’abito unghie che sembrano fossili e indignate al che lui prende appunti e giura che risolverà, altrimenti lo lascerebbero andare?

È famoso. Questo lo porterà a Roma, dove non fece nulla se non morire. Il più tragico degli atti mancati, la morte invece del compimento. Proverò a raccontarlo ma voglio ricordare, con Blake, che “la biografia di un uomo destinato a grandi imprese che non realizzò farà emergere, in nove casi su dieci, la narrazione di un rimpianto; e non dissiperà il mistero” (What if? Essays on counterfactual history, Oxford 1993, p. 355).

Dovrò scriverne la nascita e i creatori, forse la catena dei fatti produrrà una spiegazione ma prima, come un bambino che pianta i pali nella sabbia al momento d’iniziare la partita, conficco nel racconto un giudizio e una descrizione rilasciati da due che lo conobbero bene: “Aveva un concetto socratico della legge. Tutto ciò che era fuori delle regole, che bisognava ancora conquistare con la lotta, gl’incuteva un certo timore”; “quando discutevamo se fare uno sciopero ammoniva: ma è l’ultima arma. Si dialoga fino alle estreme conseguenze”. Il primo ricordo è di Curzio Palangio che l’appoggiò nel partito, il secondo è di Antonio Viafora che l’accompagnava nei viaggi. Ne desumo che negli anni maturi fu prudente. Ma c’è dell’altro. (…)

1915
Nel quindici torna a Consume dove trova la madre vecchia all’improvviso. Tempo fa ho piantato un’edera e l’ho vista crescere piena di fiducia nei giorni miti della primavera ma l’estate l’ha colta di sorpresa, il sole ha seccato le foglie, i rami sbiancati trattenevano acqua; quando arriva la vecchiaia Donata Licursi la scambia per cibo mangiandola tutta, il figlio la trova che già rantola, muore rapidamente causando in Eschilo la ben nota asprezza per il tradimento di chi ci lascia e al cui termine vende il tugurio per traslocare in una stanza in affitto a Consume sulla piazza centrale poco sopra la sezione del partito socialista ed ecco che un giorno, digerito il dolore, terminate le ore dell’orfano, bussa a quella porta che gli apre Nicola Natilli, iscritto dal novantadue, anche segretario della camera del lavoro.

Seguono i mesi dell’apprendistato, Natilli il maestro, Eschilo l’allievo. Il primo esordisce con Fourier e i falansteri, l’altro s’entusiasma per Andrea Costa del quale legge in una notte I bagliori di socialismo, Natilli gli espone Marx e la polemica con Bakunin, Licursi divora I sobillatori e Il delitto e la questione sociale di Turati, poi l’osserva in silenzio nei comizi e nell’ascolto di braccianti e disoccupati. “Quel giorno che bussai alla porta del partito è un sigillo e la prova che tutto cambia, che ci sono un prima e un dopo e non si può mai sapere nella storia di un uomo”, confessa al cugino Osvaldo. “Andai che ero una miccia ma pieno di rancore e adesso una nuova vita, nuove idee, un nuovo me. Non pensavo d’essere così né di avere tanti e tali desideri, curiosità e coraggio; neppure ti dico che ho dimenticato la morte di mio padre o quella della povera madre, no, è ancora ieri, e tutto sanguina come ieri sanguinava, ma rinasco e quella rabbia ora è un frutto per il futuro”.

Natilli al quale ispira sentimenti paterni vede nel giovane compagno un uomo “volitivo e sinceramente indignato. C’è in lui una collera d’istinto per ingiustizie e soprusi che però, credo, viene da un recinto privato, dalle mura nascoste dell’infelicità domestica, dal dolore per il mestiere del padre e la sua morte. Insomma qui abbiamo un lottatore sociale di vocazione, neanche lui l’immaginava ma era destino che venisse da me, e quando venne non sapeva il motivo” (cfr. il Fondo Natilli presso l’Istituto Pietro Nenni di Campobasso, busta 5, foglio 11, appunto manoscritto del 25/10/1917, fronteretro e intitolato Idee per un’autobiografia).

Li immagino incamminarsi assieme verso Larino per un comizio domenicale, arringare gli sterratori di Colle Torto, incoraggiare i mezzadri di Crisello, rincuorare gli artigiani di Bonefro, consolare le vedove a Piano della Cantara, ingiuriare gli agrari di Melanico, di pietra per il ghiaccio di gennaio o liquidi nella canicola di luglio tra pianori di colchici secchi, uomini da spazi aperti e fionde sempre tese alla lotta, veri urlatori e reclamatori di diritti. Slataper direbbe che stanno nella propria terra come la lingua conosce la bocca. (…)

1920
A gennaio del venti trova “una campagna alla fame dove tra forti e deboli s’innesca come un attrito di pietre sfregate” (Florio, op. cit., p. 50), rimpiazza alla guida del partito l’invecchiato Natilli, assiste alla processione degli inermi sui quali “i prosperi s’accaniscono con violenza” (ibidem). Ad esempio viene la stagione del raccolto quando gli agrari di Melanico piuttosto che prendere braccianti e pagarli il giusto importano a cottimo e al ribasso manodopera dal Tavoliere, al che Eschilo risponde con la rivolta, lui e altri trenta dal volto trapanato di mali infantili e presenti, dalle labbra appiccicate e sterili di parole, dalle mani trasformate in arnesi calano sui fondi di Melanico, sui campi di grano maturo e trebbiano un giorno intero, “chi sciopera incrociando le braccia e chi come noi lo fa al rovescio e lavora”, dirà all’agrario Pietrosi quella sera chiedendo la paga per sé e gli altri.

L’arrestano e condannano a tre anni, lo chiudono nel carcere di Larino dove resta due mesi tra mura, più che granitiche, di fango e su pavimenti di mota, a salvarlo Enrico Ferri avvocato e deputato socialista che la direzione romana invia per dimostrare che “il reato non è stato commesso”. Rientra a Consume tra applausi che l’abbracciano, nella sede del partito Natilli con tutti gli altri l’accoglie a vino del Biferno e taccozze, quella notte entra nel giorno come si oltrepassa una frontiera scaduta ed Eschilo è consacrato nemico dei nemici del popolo. (....)