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... Successe con Chernobyl, è accaduto ancora con Fukushima. Con un limite, però. Ieri e oggi del nucleare si discutono solo due aspetti: sicurezza e convenienza. Sono due nodi – soprattutto il primo – certo determinanti, ma non gli unici. Scegliere da quale fonte ricavare energia e come produrla implica una serie di opzioni fondamentali su quale tipo di società e quale tipo di democrazia vogliamo.
Non è indifferente, per gli assetti delle comunità umane, ottenere energia dall’atomo, dal sole, dal vento, dal carbone e così via. In celebri battaglie antinucleariste del passato Marco Pannella sosteneva che il ricorso all’energia atomica, con la concentrazione delle centrali in pochi luoghi e l’assoluta necessità di proteggerle, presupponeva una società fortemente gerarchizzata, al limite militarizzata, e con un ruolo fortissimo riservato alle multinazionali. Non sfugge a nessuno che, invece, produrre energia rinnovabile da pannelli solari posti sui tetti delle proprie abitazioni significa pensare a una comunità molecolare, simile a una rete dispiegata attraverso tanti “server” posti sullo stesso livello gerarchico.
Sono distinzioni complesse e sulle quali non tutti concordano; questioni probabilmente non risolvibili una volta per tutte e che producono effetti anche contrastanti a seconda delle situazioni. Difficile, ad esempio, negare che l’abnegazione, il fermo senso di responsabilità con cui i giapponesi stanno reagendo a uno dei peggiori disastri della propria storia è anche il frutto di una società molto strutturata e centralizzata, con precise gerarchie di ruoli e conseguenti obblighi che ciascun membro della comunità contrae con gli altri.
Ma cosa accadrebbe in Italia in una situazione simile? Insomma: quando ragioniamo di energia dobbiamo riflettere bene su come siamo e come vorremmo essere.