PHOTO
Lavoro, codeterminazione, competitività, libertà e conoscenza: domande, suggestioni, riflessioni e proposte per la quarta rivoluzione industriale. Sono questi i contenuti del convegno internazionale “4.0 (R)Evolution Road”, organizzato da Cgil nazionale, Fondazione Friedrich Ebert e Cgil Piemonte, che si tiene il 24 e il 25 ottobre a Torino, presso l’Environment Park, Auditorium Kyoto.
Il convegno, che vedrà la partecipazione di imprese, università, istituzioni – dal rettore del Politecnico di Torino Marco Gilli al Policy manager di Google Italia Diego Ciulli, al presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino – e alla cui giornata conclusiva interverrà il segretario generale della Cgil Susanna Camusso (leggi qui il programma completo), conclude un primo ciclo di iniziative di approfondimento sul tema della cosiddetta quarta rivoluzione industriale, che, mentre negli altri Paesi europei è già oggetto di confronto tra le parti sociali, in Italia risulta essere ancora decisamente sotto traccia.
“Se su prima e seconda rivoluzione industriale le definizioni sono ormai consolidate e concordi – commenta a Rassegna Stefano Musso, presidente della Società italiana di Storia del lavoro e professore associato di Storia contemporanea all’Università di Torino, a cui sarà affidata la relazione di apertura del convegno –, sulla terza e soprattutto sulla quarta le definizioni sono ancora incerte, come mostra l’uso abituale di aggettivi quali post-industriale e post-fordista. Tuttavia, con buona approssimazione la terza rivoluzione industriale potrebbe essere qualificata come rivoluzione informatica, per l’applicazione delle Ict alla produzione, al computer che flessibilizza la produzione da un lato e globalizza i mercati finanziari dall’altro, mentre la quarta potrebbe essere definita come rivoluzione digitale, caratterizzata dalla crescente integrazione tra uomo e macchina e tra macchina e macchina”.
Rassegna Esistono punti di contatto tra le due fasi?
Musso Ancorché ancora molto indeterminata, la quarta rivoluzione industriale appare come un’accelerazione, una rapida evoluzione dei caratteri della terza, in una tendenza delle tecnologie a evolvere a passo sempre più veloce. Dirà il tempo se il salto qualitativo dell’Industria 4.0 sarà tale da giustificare effettivamente l’assegnazione dei tratti di una nuova rivoluzione o se in futuro ulteriori sviluppi indurranno a spostare più avanti la cronologia delle grandi cesure storiche.
Rassegna Quali punti di vista privilegiare per osservare le trasformazioni del lavoro nel succedersi storico delle rivoluzioni industriali?
Musso A questo riguardo, sono solito proporre, anche ai miei studenti, sette punti, che vanno dalla qualità – quanto a contenuti di professionalità – e dalla divisione del lavoro alla natura giuridica del rapporto, dalla stabilità del lavoro alla relazione tra tempo di lavoro e tempo di vita, dalla rappresentanza degli interessi alla legislazione sociale, alla distribuzione del reddito. Ma, per ovvie ragioni di tempo, e anche per le loro implicazioni riguardo allo sviluppo recente dell’economia, mi limiterò a soffermarmi sui primi tre.
Rassegna Cominciamo dunque dai contenuti professionali del lavoro.
Musso Sul versante dei contenuti professionali del lavoro si assiste, nella terza rivoluzione industriale, a un ritorno dell’importanza della professionalità operaia in confronto ai sistemi taylor-fordisti. Si tratta di una professionalità diversa da quella dell’operaio di mestiere. L’acuita concorrenza internazionale per una domanda instabile e poco prevedibile, ha indotto esigenze di flessibilità produttiva, resa possibile dall’avvento delle tecnologie informatiche, anche se all’aumento dei mix di prodotti diversificati, fino alla personalizzazione, crescono i rischi di intoppi ed errori.
Rassegna Ma è possibile dire quanto, dal punto di vista della qualità, il lavoro – nei diversi passaggi di fase – si è modificato?
Musso L’accorciamento della catena decisionale e l’appiattimento della gerarchia porta a risparmi di tempo e di costi. Il contributo richiesto ai lavoratori per il perseguimento della qualità totale può ingenerare forme di stress da prestazione, ma in generale le ricerche sul campo mostrano che tra i lavoratori gli elementi di soddisfazione superano quelli di frustrazione. Si aprono dunque opportunità di miglioramento della qualità del lavoro, ottenibile con il potenziamento della conoscenza, con la conquista per i lavoratori di margini di autonomia e creatività necessari a soddisfare le crescenti esigenze di qualità dei prodotti e di produttività del lavoro. Beninteso, anche nelle fabbriche intelligenti, come negli uffici, non tutti i posti di lavoro sono di nuovo tipo e non pochi restano ancorati a tempi e modalità di stampo tayloristico, per quanto spesso richiedenti meno fatica fisica e svolti in ambienti meno sporchi, rumorosi e nocivi delle fabbriche di un tempo. Senza contare che in molte postazioni di lavoro si riscontra un aumento della responsabilità richiesta senza maggior autonomia.
Rassegna E per quanto riguarda la divisione del lavoro? Quali sono stati, a suo avviso, i mutamenti più significativi nel passaggio dalla prima alla terza rivoluzione industriale?
Musso Relativamente alla divisione del lavoro, credo sia importante sottolineare come questa può essere riferita anche ai generi. Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro delle donne di estrazione popolare è stato elevato nella prima industrializzazione, con lo sviluppo del tessile, specie in età giovanile; negli anni del miracolo economico occidentale in alcune famiglie di operai stabilmente occupati ha fatto capolino la figura della casalinga, anche se spesso i censimenti non registravano svariate forme di attività femminile svolte a domicilio e a tempo parziale nell’economia grigia. Nel quadro di una tendenza secolare alla riduzione si è verificata a partire dagli anni ottanta un’inversione di tendenza verso l’aumento del tasso di attività, per intero dovuto alla maggior partecipazione femminile. Il fatto che nell’istruzione scolastica le donne ottengano oggi risultati superiori agli uomini, lascia presagire un ruolo accresciuto delle lavoratrici in un’economia sempre più basata sulla conoscenza.
Rassegna Il quadro da lei descritto sembra far riferimento esclusivamente alle economie più avanzate, mentre la divisione del lavoro tra Paesi su scala planetaria fa sì che nei sistemi emergenti si svolgano lavorazioni ad alto tasso di esecutività…
Musso Non c’è dubbio. In questi territori le figure operaie assimilabili all’operaio dei sistemi taylor-fordisti sono in crescita, così che a livello globale le schiere di lavoratori blue collar non sono diminuite. Nei Paesi di antica industrializzazione, al contrario, anche nelle imprese medio-grandi la quota di lavoratori manuali è scesa e scende notevolmente in confronto ai lavoratori tecnico-impiegatizi, come mostrano i dati dell’ultima survey di Mediobanca e Unioncamere sulle medie imprese. Qui si concentrano, o dovrebbero concentrarsi, le attività di conoscenza alta, mentre quelle a conoscenza bassa diventano appannaggio dei Paesi a basso costo del lavoro.
Rassegna Se in merito all’aspetto specifico della qualità, è lecito parlare di un recupero di contenuto professionale, sul versante della natura giuridica del rapporto di lavoro il quadro non sembra altrettanto incoraggiante.
Musso Sì, a questo riguardo si può individuare una tendenza al ritorno a forme di contratto individuale, quali erano prassi comune agli albori dell’industrializzazione, che manda a farsi benedire secoli di storia delle relazioni sindacali, caratterizzati dalla progressiva affermazione della contrattazione collettiva. Una tendenza che comporta, nella generalità dei casi, uno scarso potere contrattuale, come sostengono coloro che individuano l’esistenza di un ciberproletariato internazionale. Nel caso dei lavoratori coordinati, figure terze tra lavoratori autonomi e lavoratori subordinati, l’individualizzazione del contratto di lavoro è intrinseca alla natura del rapporto; e lo stesso vale per i rapporti gestiti attraverso partite Iva con mono od oligocommittenza, che mascherano rapporti subordinati, di fatto sottratti alla contrattazione collettiva. Ma un discorso assai simile è possibile farlo anche relativamente alla stabilità del rapporto di lavoro.
Rassegna A cosa si riferisce esattamente?
Musso Al fatto che, anche riguardo alla stabilità del rapporto di lavoro, si può individuare una sorta di ritorno a condizioni simili a quelle della prima industrializzazione, nelle quali l’instabilità occupazionale era condizione diffusissima: per la forte stagionalità delle produzioni e per le commesse che si susseguivano a ritmo irregolare anche per le imprese maggiori. Tanto che solo pochissime delle prime società operaie di mutuo soccorso includevano tra i propri sussidi quello di disoccupazione: gli oneri sarebbero stati insopportabili, dato l’alternarsi, anche per gli operai di mestiere, di periodi di occupazione e disoccupazione. A questa situazione si faceva fronte con il ricorso generalizzato alla pluriattività, che costituiva la miglior forma di assicurazione contro la disoccupazione, in assenza di qualsivoglia sistema di sicurezza sociale. Alla relativa stabilità del posto di lavoro, realizzata con gli assetti della seconda rivoluzione industriale, è subentrato l’attuale passaggio “dal lavoro ai lavori”, che non significa solo il susseguirsi di nuove attività lavorative nell’arco della vita attiva, ma anche la compresenza, per molti giovani lavoratori precari, di attività diverse, che combinate possono concorrere a realizzare un reddito di importo minimamente accettabile, in una nuova versione della pluriattività.
LEGGI ANCHE:
Il programma del convegno
La giornata in diretta su RadioArticolo1
Industria 4.0: governare il nuovo, A.Gramolati
Un futuro sempre più libero dalle emergenze