Anche quest'anno l’Ires Emilia-Romagna propone il proprio punto di vista sull’evoluzione della situazione economico-sociale della regione. Il rapporto 2017 (qui in versione integrale), curato dall’istituto di ricerche per conto della Cgil regionale, segnala per il 2016 un quadro complessivamente positivo, che mostra buoni segnali anche per l’anno in corso. Le stime più recenti danno il Pil in aumento dell’1,9% per il 2016 e dell’1,7% per il 2017, valori sensibilmente superiori a quelli nazionali. Tuttavia, il quadro che si manifesta di fronte a un’analisi più dettagliata evidenzia come questa crescita sia il frutto di fenomeni di cambiamento che hanno impatti molto diversificati sui settori, sui territori e sulle diverse fasce della popolazione e che quindi complessivamente inducono un aumento degli squilibri denso di criticità.

Si conferma il ruolo trainante della manifattura e in particolar modo delle esportazioni: un trend in essere dal 2013 e tuttora in corso. Le esportazioni hanno toccato nel primo trimestre 2017 una punta di crescita del 9% sullo stesso periodo dell’anno precedente. Il commercio invece presenta dati contrastanti, che a nostro avviso delineano una ristrutturazione in corso nel settore, forse anche con qualche legame con i processi di digitalizzazione, visto che nel 2016 la spesa delle famiglie è aumentata nonostante il calo delle vendite al dettaglio e quello del numero dei negozi.

Le imprese attive mostrano un nuovo calo nel 2016 e nel primo trimestre 2017, con modesto recupero nel secondo. In sostanza, la ripresa economica regionale non si traduce finora in un maggior dinamismo imprenditoriale: prosegue invece la ristrutturazione in corso già da diverso tempo, che vede le imprese artigiane ridursi, mentre crescono le società di capitale. Gli occupati al 2016 aumentano in modo significativo (+2,5% rispetto all’anno precedente), superando in numero la soglia rilevata nel 2008 (pre-crisi).

Tuttavia, la composizione degli occupati sta subendo una profonda trasformazione: • la quota femminile aumenta dal 43,8% al 45,2%, ma continua a insistere un gap retributivo superiore al 30%; • cresce il lavoro dipendente a discapito del lavoro autonomo: la flessibilità, o la fragilità, propria di parte del lavoro autonomo sembra essere stata importata dentro la cornice del lavoro subordinato; • l’occupazione invecchia: se nel 2008 l’età media degli occupati in Emilia-Romagna era pari a 41,1 anni, nel 2016 sale a 44,1 anni; • nel lavoro dipendente cresce il lavoro a termine, che passa dal 12,2% al 15,6%, accrescendo il gap retributivo contrattuale del 25% rispetto al lavoro stabile; • a fronte di una stabilità del manifatturiero, cresce il peso del terziario non commerciale, a cui tuttavia corrisponde un gap retributivo di circa il 30% rispetto al manifatturiero; • nonostante la ripresa occupazionale, il numero di disoccupati continua a rimanere 2-3 volte il numero del 2008.

Per l'insieme di questi fenomeni, mentre il numero di occupati cresce (+17 mila nel confronto 2008-2016), quello delle unità lavorative (Ula) cala (-66 mila nello stesso periodo). A questo dato ne va aggiunto un altro: anche per effetto delle dinamiche demografiche, cala il numero di occupati sul totale della popolazione (dal 46,3% del 2008 al 44,5%) e tutto ciò, aggiunto ai caratteri di una ripresa che si muove soprattutto lungo occupazioni a più bassa retribuzione, mette in crisi la stessa sostenibilità del welfare pubblico.

Dal punto di vista demografico, al 1° gennaio 2017 l’Emilia-Romagna registra un aumento di circa 3 mila residenti, dato di sostanziale stabilità, ma in controtendenza rispetto a quello nazionale, dove per il secondo anno consecutivo si registra una decrescita. Nello specifico, continua il processo di spopolamento delle zone montane (-1.505 in un solo anno, pari a -0,8%) e la tenuta demografica continua a essere pilotata dalla crescita dei comuni capoluogo e dei comuni più grandi (sopra i 10 mila residenti). A livello territoriale continua la forte diminuzione di residenti nella provincia ferrarese (-2.314, pari a -0,7%), quasi 5 mila in soli due anni. Al contrario, aumentano di oltre mille unità i residenti nelle province di Rimini e Parma e di circa 3.600 (+0,4%) quelli in provincia di Bologna.

La stabilità tra 2017 e 2016, continua però a essere il frutto di compensazioni di forti variabilità interne tra le classi di età, mentre le quasi 3 mila unità di aumento dei residenti si concentrano tutte sulla popolazione con più di 44 anni. L’incremento dei residenti si realizza solo sui cittadini italiani: nel 2016 il potenziale di crescita dei residenti stranieri (circa 15 mila unità per saldo migratorio e altre 8 mila per saldo naturale) è stato più che compensato dalla diminuzione registrata per effetto delle acquisizioni di cittadinanza italiana (25 mila naturalizzazioni di stranieri residenti in Emilia-Romagna).

Non solo. Aumentano l’indice di vecchiaia (177,5) e l’indice di dipendenza (58,9). Nel 38% delle famiglie è presente almeno un componente che ha superato i 65 anni, soprattutto nella zona appenninica e nel Ferrarese (dove la quota sfiora il 50%). Continua il calo della popolazione nella fascia d’età 15-34 anni (-6,4%). Si tratta di un trend europeo (-7,4%) e nazionale (-9,2%), ma in Emilia-Romagna si registra una quota più bassa (18,9% nel 2017) sul totale della popolazione, inferiore anche al dato nazionale, che è il più basso tra tutti i Paesi europei.

Sul versante formativo, resta drammatico il ritardo dell’Emilia-Romagna, come del resto di tutta l’Italia, nei confronti dell’Europa, in particolare nel numero di laureati in rapporto alla popolazione (29,6% in regione, a fronte del 39% in Eu-28). In aumento i Neet rispetto al 2007, nonostante un parziale miglioramento nell’ultimo biennio e, soprattutto, i giovani che rimangono nella famiglia d'origine anche dopo la maggiore età.

Per quanto riguarda il reddito disponibile, risulta in incremento per il quarto anno consecutivo, decisamente superiore (21.509 euro) a quello medio italiano (17.826 euro), ma sensibilmente inferiore a quello del periodo pre-crisi (22.743 euro nel 2007). Anche la distribuzione dei redditi in Emilia-Romagna risulta più equilibrata di quella italiana, pur se maggiormente concentrata di quella registrata per le regioni del Nord-Est. Stesse conclusioni si possono trarre prendendo in esame i dati relativi alla spesa e ai consumi.

Le famiglie residenti in Emilia-Romagna in condizioni di povertà relativa sono nel 2016 il 4,5% del totale (4,8% nel 2015), meno della metà di quelle registrate a livello italiano (10,6%). Se si considera l’indicatore di grave deprivazione materiale, per l’Emilia-Romagna, così come per le altre regioni del Nord, ma non per l’Italia nel suo insieme, si assiste nel 2015 a un netto miglioramento rispetto all’anno precedente: il dato regionale scende dal 7,3% al 5,9%, quello del Nord dal 7,1% al 6,1%, mentre l’Italia si mantiene all’11,5%.

Infine, si confermano le note e importanti problematiche ambientali e territoriali della regione, legate al rischio idrogeologico, al forte consumo di suolo, ma anche al cambiamento climatico e alla conseguente maggiore aridità del terreno.

Giuliano Guietti è il presidente dell’Ires Emilia-Romagna; Davide Dazzi è ricercatore dell'Ires Emilia-Romagna