L'Ilva di Taranto “non va fermata”. Ne è convinto il ministro dell'Ambiente Corrado Clini che lo ribadisce in un'intervista al Sole 24 Ore. “E' arrivato il momento di lavorare insieme e di fare riposare gli avvocati”, dice il ministro, sostenendo che “il giudizio sui rischi connessi ai processi industriali dello stabilimento va attualizzato”.

La situazione, spiega, è molto cambiata. “L'Ilva di 10-15 anni fa era molto diversa da quella attuale. Oggi si può dire che l'Ilva è uno stabilimento in cui è in atto un processo di trasformazione della produzione per renderla adeguata agli obiettivi nazionali e alle direttive europee”. Secondo Clini, dunque, “il giudizio deve tenere conto del lavoro fatto fino ad oggi e dunque della possibilità concreta che esiste di completare il percorso iniziato per rendere l'impianto sostenibile”.

Da parte del ministero “il primo sforzo è quello di dotarci di tempi certi e rapidi”, spiega Clini. “Anche la Regione Puglia, come la Provincia e il Comune di Taranto, stanno facendo la stessa cosa, perché esiste un obiettivo comune: lavorare insieme per avviare le iniziative da prendere per il risanamento ambientale e la riqualificazione industriale dell'intera area”.

“Se concordiamo un piano di azioni insieme possiamo riprendere il percorso già iniziato. Nella consapevolezza - sottolinea il ministro - che gli interventi devono tenere conto della competitività dell'impresa: non sarebbe un gran risultato costringere le aziende a chiudere e ad abbandonare un sito perché le prescrizioni ambientali non sono sostenibili dal punto di vista economico”.

In questo processo “anche l'azienda deve fare la sua parte”, prosegue Clini. “Il ministero dell'Ambiente è disponibile a rivedere alcune delle sue posizioni per superare il contenzioso. A patto che l'azienda faccia lo stesso”.

Intanto, la protesta degli operai, dopo lo sciopero e i blocchi stradali di ieri, a cui hanno partecipato oltre 5mila lavoratori, proseguirà. In città c'è grande attesa per le decisioni della magistratura che potrebbe disporre il sequestro degli impianti dell'area a caldo, in seguito all'esito delle perizie sull'inquinamento disposte nell'ambito dell'inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici dell'azienda.