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... quando il suo insegnante di educazione musicale chiede a lui e ai suoi compagni di scegliere uno strumento tra chitarra, flauto e pianola e di portarlo in classe. Dalla scoperta alla laurea, al conservatorio Giuseppe Martucci di Salerno, dai primi concerti alle prime recensioni, la strada è stata naturalmente lunga e impegnativa, e ancor di più lo sarà quella che gli resta da fare. Eppure non è di questo che intendiamo raccontarvi.
Antonio Pezzullo come musicista pare abbia un gran talento, e sia chiaro che il “pare” non mette in dubbio il talento ma sottolinea che chi scrive non ha competenze in campo musicale. Tuttavia l'opera che lo rende veramente unico è la sua chitarra, ad essere precisi una delle sue chitarre. Volete sapere perché? Perché se l'è costruita da solo, con la sua testa e le sue mani, ottenendo un risultato eccellente. Antonio ha impiegato cinque mesi per fabbricarsi lo strumento, lavorandoci almeno un paio di ore al giorno quasi tutti i giorni della settimana, e se gli chiedi perché l'ha fatto ti risponde: “Perché amo troppo quello che faccio”, “Perché volevo vedere se riuscivo a costruire una chitarra che suonava”, cioè una chitarra da utilizzare anche nei concerti, cosa che in effetti poi ha fatto. Purtroppo lo spazio è tiranno e io non posso raccontarvi fase per fase l'impresa di Antonio. Ma il suo racconto l'ho registrato, e ho anche le foto che documentano ogni singolo passaggio, il progetto dal quale è partito, gli utensili che ha usato.
Magari chiederò al direttore di darmi lo spazio per scrivere di tutto questo in uno dei prossimi numeri: vi assicuro, ne varrebbe la pena. Quello che invece non voglio rinunciare a fare adesso è collegare questa storia con L’uomo artigianodi Sennett (Feltrinelli, 2008), con le sue riflessioni sul rapporto tra l'uomo e gli utensili, sulle connessioni tra la testa e le mani. A un certo punto del suo libro Sennett, scrivendo degli utensili specchio, dice che possono essere di due tipi: replicante e robot. I primi imitano le nostre possibilità- capacità, i secondi le potenziano fino a farle arrivare a livelli per noi umani impossibili. Detto che sarebbe un reato raccontarvi come finisce e togliervi il gusto di leggere il libro, si può aggiungere che le persone come Antonio confermano che sono la creatività, il sapere e il saper fare che permettono a ciascuno di noi di vivere vite più degne di essere vissute. Sì, perché fare è pensare. E se non pensiamo che facciamo a fare?