Sono cresciuto con una idea di Venezia che ho imparato a scuola. Mi diceva il mio professore di storia che Venezia è una capitale del mondo perché non conta solamente la dimensione territoriale o il numero di abitanti, conta soprattutto il concetto di essere centro e al centro.

Venezia, certo come New York e Barcellona oggi, ma anche e soprattutto come Palermo, Napoli, Istanbul crocevia di culture, religioni e saperi e arte ma anche grandi cantieri di tecnologia e di ricerca, soprattutto centri aperti, per loro natura contaminati, esempi di un futuro che si mescola in continuazione con il passato, veri laboratori sociali e interculturali, di straordinario meticciato.

Ha ragione l’onorevole Mognato quando parla del funerale della povera Valeria Solesin in piazza San Marco e di come quell’immagine sia più di tutte le altre, Venezia. Anch’io quel giorno ero in piazza con migliaia di persone e ho respirato completamente cosa sia la nostra città. Mi sono commosso, certo, ho provato dolore e rabbia per quella tragedia, eppure, da ateo quale sono, quella piazza, quelle preghiere, quelle donne e quegli uomini, mi hanno fatto respirare il più profondo senso di cosa sia l’umanità, che io abbia mai percepito in tutta la mia vita e la più ferma e risoluta risposta contro ogni violenza e terrorismo. E solo in quella piazza poteva capitare, con il suo lato aperto sul mare. Soprattutto questo è Venezia.

L’immagine che il signor sindaco vuole dare di se stesso è affare suo, l’immagine che egli trasferisce della nostra città riguarda tutte e tutti i suoi cittadini. Sono proprio in dissenso su tutto quello che il sindaco ha detto dal meeting di Rimini non solo per la forma (ci siamo abituati…), ma soprattutto per i contenuti.

La sicurezza è certo un elemento fondamentale. Non solo nella città storica, ma in ogni luogo del territorio. Non significa certo solo la presenza delle forze dell’ordine e la deterrenza armata, ma soprattutto tutte le buone pratiche per ridare alle cittadine e ai cittadini, il senso di autonomia. Parlare di fucili che sparano è proprio facile, demagogico, populista. Forse solo “na monada”.  Perché difficile è accendere le luci su tutto il territorio, e infondere il senso di sicurezza a tutte e tutti i cittadini, agli anziani, ai giovani, a chi lavora, comprese le migliaia di persone di ogni religione, compreso quella islamica, che a Venezia studiano, lavorano e vivono.

Le luci da accendere sono soprattutto i percorsi in cui le cittadine e i cittadini si riappropriano della città, dei suoi parchi, dei suoi luoghi chiusi e degradati e dentro questi luoghi creano socialità.  Sulla sicurezza contro il terrorismo, assolutamente fondamentale, ritengo sia soprattutto un incessante lavoro di intelligence, di professionismo e di rete internazionale tra i paesi democratici europei e mondiali a garantirla. Gli arresti di Venezia, sono il frutto di questo prezioso lavoro.

Spero però che le parole sulla libertà che va comperata, non corrispondano al vero e che siano una forzatura giornalistica. Se invece il sindaco le ha pronunciate, rappresentano, a mio avviso, un suo inaccettabile punto di vista su cosa sia la Democrazia, su cosa sia la Repubblica e soprattutto sul ruolo delle istituzioni, che egli rappresenta.

Signor sindaco, sono le istituzioni democratiche a garantire la libertà e la piena realizzazione dei propri cittadini e non i cittadini che si comperano pezzi di diritti. Questo è il motivo fondamentale della nostra forma politica: permettere a tutti l’accesso a partire dalla valorizzazione delle differenze, dalla promozione della solidarietà e dalla partecipazione.

Sulla Costituzione il sindaco ha giurato, come vorrebbe facessero, giustamente, coloro i quali desiderano diventare cittadini italiani. Consiglio però anche una superficiale lettura, prima del giuramento. Essa contiene molte questioni interessanti! 

Enrico Piron è il segretario generale della Camera del lavoro metropolitana di Venezia