In Italia le leggi sulla violenza contro le donne ci sono, ma le tutele effettive no. È questa la sintesi del richiamo dell’Onu nelle osservazioni finali formulate nel quarto rapporto periodico, in cui le Nazioni Unite esprimono una forte preoccupazione sulla violenza di genere nel nostro Paese, che anche se si è dotato di leggi in linea con gli standard europei è carente nella loro applicazione. La domanda allora è: perché le leggi in questo Paese non si applicano?

Paradossalmente, nonostante la legge contro il femminicidio del 2013, la ratifica della Convenzione di Istanbul, l'anno dopo, il confuso Piano d'azione straordinario antiviolenza, finalmente varato alcuni mesi fa dopo molti rinvii e incertezze, che prevedeva finanziamenti ai centri antiviolenza di cui nulla si è più saputo, sembra non cambiare nulla, né sul piano culturale, né su quello della prevenzione, né sull'ampiezza e la gravità del fenomeno.

E che la situazione sia sempre più grave ce lo confermano i dati Istat dello scorso giugno sulla violenza ''ampia e diffusa'' contro le donne in Italia, con circa sette milioni di donne colpite nell'arco della loro vita da violenze e con soltanto una italiana su dieci che si rivolge alla polizia per ottenere giustizia. Il dato confortante della ricerca Istat è l'aumentata consapevolezza e l'accresciuta propensione da parte delle donne a cercare aiuto. Questo, secondo l'Istat, grazie a una ''maggiore informazione sulla violenza domestica'', al "lavoro sul campo". Grazie anche alla mobilitazione delle donne in questi anni, aggiungerei.

Mobilitazione e informazione che non devono mai abbassare la guardia se è vero quanto emerso dal recentissimo rapporto "Rosa Shocking 2. Violenza e stereotipi di genere: generazioni a confronto e prevenzione", presentato dall'associazione We World Onlus in cui emerge che gli under 30 sono complessivamente indulgenti verso il fenomeno e il 25% giustifica la violenza per il ''troppo amore''. Per uno su tre, gli episodi di violenza domestica "vanno affrontati dentro le mura di casa".

Già, perché l'informazione e le campagne di sensibilizzazione sono purtroppo a senso unico: ci raccontano una violenza che si consuma quasi esclusivamente tra le pareti domestiche, di abusi e molestie nei luoghi di lavoro non si parla, è un tabù. Ne è una dimostrazione concreta anche l’accordo quadro sul tema, che firmato a Bruxelles nel 2007 non è ancora recepito nella normativa italiana. Nonostante le molestie sessuali e il mobbing nei luoghi di lavoro, con la crisi siano considerevolmente aumentati.
 

La nota positiva sono gli accordi e le azioni sindacali sul territorio sempre più numerosi, dal Protocollo di prevenzione e gestione delle molestie che la Filt Cgil Veneto ha sottoscritto con diverse aziende dei trasporti, a quello recente tra Fillea Cgil e Federlegno, solo per citarne alcuni e auspicando che se ne aggiungano altri. Il “lavoro sul campo” che cita l'Istat è fondamentale, è quello dei centri antiviolenza, delle associazioni femminili e femministe, delle donne del sindacato che tenacemente cercano di arginare un fenomeno sempre più preoccupante.

La Cgil, in molti territori è da sempre attiva concretamente nel contrasto alla violenza, con sportelli di ascolto e prima accoglienza per le vittime di violenza, in casa e nei luoghi di lavoro. Sportelli che si moltiplicano per fare fronte a una situazione sempre più drammatica per le donne, che sono quelle maggiormente colpite dalla crisi. L'ultimo in ordine di tempo è quello inaugurato in questi giorni dalla Cgil di Genova, dedicato alle donne maltrattate e agli uomini autori di violenza nelle relazioni affettive.

Per far fronte a queste emergenze anche le donne della Cgil di Napoli hanno deciso di aprire all'inizio dell'estate uno sportello d'ascolto dedicato alle discriminazioni, al mobbing, alle immigrate, alle donne disabili, alle lavoratrici che a causa della maternità vengono considerate scarsamente impegnate se non un peso per l'azienda. C'è un gran bisogno di questi luoghi, che accolgano le donne, le lavoratrici e le accompagnino nel complicato percorso di uscita dalle discriminazioni e dalla violenza, partendo dal rafforzamento della loro autodeterminazione. Dobbiamo lavorare perché si diffondano sempre di più, nelle aziende e nel sindacato. E perché il governo mantenga le promesse e applichi le leggi. E non cancelli i diritti delle donne.

Loredana Taddei è responsabile politiche di genere Cgil nazionale