“Non c'è altra strada che il lavoro per trasformare l'Europa, per cambiarla, per il welfare e la civiltà delle relazioni. Costruire politiche trasversali tra i sindacati, più di quanto fatto finora, è il mezzo vero per ricostruire l'unità dell'Europa. Altrimenti c'è solo l’Europa delle banche e della finanza, o l'Europa che si affaccia sulla crisi dell'Ucraina, dove vince il modello della guerra fredda”. A dirlo è il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, alla tavola rotonda sull'Europa organizzata a Rimini dalla confederazione alla vigilia del congresso nazionale.

“Oggi in Europa esistono opinioni diverse, e il pensiero europeo vive una crisi politica profonda - ha continuato Camusso -. Questo perché l'economia si muove indipendentemente dalla politica, conseguenza del fatto che se la politica non sa governare l'economia, alla fine le organizzazioni di rappresentanza diventano il capro espiatorio dell'incapacità di muovere le leve economiche”.

“Il problema
– ha detto - non è solo come contenere i vari populismi, ma cosa proponiamo per cambiare quell'orientamento. Che progetto di Europa c'è oggi?”. Secondo il leader Cgil, “non sarà sufficiente la sensazione che la Banca centrale sia l'unica autorità che muove l'economia del vecchio continente. Dev’essere chiaro quale soggetto governerà: se saranno gli esecutivi nazionali, quelli più forti continueranno a condizionare tutto. Se sarà invece un'Europa delle istituzioni elettive europee, allora si può giocare una partita diversa”.

“Avere in campo una proposta significa anche confrontarsi con l'applicazione dei trattati: che posizione ha il sindacato Ue rispetto al Fiscal compact? Noi rilanciamo l’ipotesi di mutualizzazione del debito pubblico, altrimenti l'economia italiana non è in grado di reggere una botta del genere. Ma anche l'economia europea non è in grado di farlo. Nonostante tutto, non è vero che c'è un'altra soluzione che non sia l'Europa”.

“C'è bisogno di una politica salariale europea, uno strumento per determinare le condizioni politiche e un nuovo modello di sviluppo. La discussione non può essere fatta solo nell'eurozona, deve riguardare l'intera Unione europea”. E attenzione a come si fa, perché “i danni possono essere maggiori del dumping”. La Germania, ha ricordato Camusso, era insieme all'Italia il paese che negava il salario minimo, mentre i paesi dell'ex Est che prima lo volevano, oggi lo guardano con sospetto. “Sono cambiati tutti i paradigmi - aggiunge -, quindi è una discussione che va fatta a livello europeo: il salario minimo può diventare un punto di tenuta affinché non si possa fare dumping”, ma le regole sui distacchi (dei lavoratori da parte di aziende che hanno sedi in paesi diversi) possono creare problemi. "È in grado il sindacato europeo - si chiede dunque Camusso - di fare una discussione sui minimi salariali e come si determinano?”.

IL DIBATTITO
“C’è il rischio concreto che le prossime elezioni europee siano vinte da forze anti-europeiste, da partiti di chiara ispirazione fascista, come è già successo nelle ultime elezioni in Grecia, Olanda, Ungheria e Gran Bretagna, che potrebbero bloccare il processo di unità europea”. È l’allarme lanciato dal segretario nazionale della Cgil Fausto Durante, in apertura dell’incontro. “Questa è la diretta conseguenza di politiche economiche sbagliate - ha continuato - di fronte alle quali il rifiuto dell’Europa, di questa Europa, può portare a un esito sciagurato. Noi della Cgil unendo gli sforzi all’interno della Ces abbiamo portato il sindacato europeo a proporre un piano straordinario per lo sviluppo del lavoro di qualità, 'Un nuovo corso per l’Europa', per ribaltare le politiche di austerità. Continueremo la nostra battaglia anche dopo le elezioni, perché è evidente che il futuro dell’Europa passa dalle scelte che verranno fatte sul lavoro”, ha concluso Durante.

“La solidarietà internazionale è anche nei fatti, come avete dimostrato col vostro sostegno alla manifestazione dello scorso 4 aprile a Bruxelles”. Così Anne Demelenne, segretario generale del sindacato belga Fgtb: “Abbiamo gridato insieme per un'altra Europa: per noi significa anzitutto dire basta al dumping sociale che mette in concorrenza i lavoratori”, una corsa al ribasso che parte dalla Germania: “Ogni volta che là si abbassano gli stipendi - osserva - noi siamo costretti per legge a rivedere quelli interni. Abbiamo bisogno di regole europee, di controllo europeo”. Ma un'altra Europa significa anche fare investimenti: “Ci sono 10 milioni di disoccupati in più dal 2008 - osserva la leader del sindacato belga. È la conseguenza dei cosiddetti 'piani di rilancio' che invece hanno colpito i salari e accresciuto le disuguaglianze sociali. Noi, al contrario, vogliamo un piano di investimenti ambizioso senza aspettare le banche private”, conclude con riferimento al progetto lanciato dalla Ces.

“Sulla crisi del lavoro e dell’Europa sono quasi del tutto d’accordo con quanto detto finora in questa sede, ma con un punto di vista tedesco”, ha invece detto Michael Braun della Fondazione Ebert, istituzione finalizzata alla promozione dell’educazione politica e sociale. “Per quanto riguarda l’Europa e l’euro viviamo su due pianeti diversi, con due impostazioni diverse su come debba andare l’Economia. Il sindacato tedesco ad esempio è attualmente in difficoltà con la sua base, che in molti casi ha una posizione molto chiara sull’Europa. La domanda che si pone la maggior parte dei tedeschi è:‘ chi paga il conto’. Una posizione vicina a quella della Merkel, e che è fortissima e trasversale in Germania”.

“Ci hanno bombardato le orecchie dicendo che la sola soluzione della crisi era la crescita, e in parte siamo stati anche d’accordo. Ma nel caso in cui questa crescita non ci sia, cosa facciamo? Facciamo morire di fame le persone?”, è infine la domanda che si pone Georgios Dassis, greco, presidente del gruppo lavoratori Cese. “Dobbiamo avere la capacità di proporre soluzioni - ha concluso - E’ giusto che un sindacato sia combattivo, ma è anche giusto che si mettano in atto delle proposte. Il nostro ruolo è di avanzare proposte concrete”.