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“Il giudizio finale lo formuleremo dopo l’incontro di domani (ndr. martedì 21 novembre), ma i segnali che arrivano non ci spingono a essere ottimisti”. Così il segretario generale della Cgil Susanna Camusso in un’intervista rilasciata a RadioArticolo1, precisando che “intanto la mobilitazione va avanti, continuiamo con le assemblee nei luoghi di lavoro. Parleremo inoltre con tutti i gruppi parlamentari, a partire da quelli che sostengono il governo, cui chiediamo coerenza con gli impegni assunti. E decideremo con quali modalità tornare nelle piazze”.
Il governo aveva assunto alla fine del 2016 degli impegni con le organizzazioni sindacali. “Ci aveva detto che la legge di bilancio per il 2017 aveva spazi limitati, ma che lungo l’arco del 2017 e in vista della legge di bilancio per il 2018 avremmo definito quelle che lo stesso governo conveniva essere delle ingiustizie” spiega Camusso. E le “ingiustizie” riguardavano “il tema delle lavoratrici, del lavoro di cura e dell’accelerazione della loro età pensionabile; i meccanismi iniqui che sono previsti rispetto ai giovani che non avranno mai la flessibilità, salvo che siano molto ricchi dal punto di vista contributivo; il tema delle pensioni anticipate. Insomma, l’insieme delle manomissioni che erano state determinate al sistema e che richiedevano ora di essere affrontate”.
Ma le cose non sono andate come stabilito. “Durante l’anno il confronto è stato molto faticoso: sono emerse proposte che poi sono scomparse, come le pensioni di garanzia per i giovani o gli interventi in favore delle lavoratrici, poi è intervenuto il presidente del Consiglio ‘inventando’ un’altra fase emergenziale” continua il segretario generale Cgil: “Ma andare per emergenze non va bene. Le persone debbono avere contezza della propria condizione e di quali sono gli obiettivi. Ma questo non c’è nelle proposte del governo, come non ci sono risposte a tutti coloro, a partire dalle lavoratrici, che hanno una discontinuità contributiva. E l’hanno non perché non vogliono lavorare, ma perché ogni passaggio del lavoro di cura, della maternità, dell’assistenza ai genitori, sono situazioni in cui sono costrette a interrompere il lavoro. Quando non vengono licenziate al primo o al secondo figlio, come ben vediamo dalle cronache”.
La Cgil, dunque, boccia l’attuale proposta del governo perché “è per una platea ridotta con risorse ridotte, e non affronta il tema dell’impianto complessivo del sistema previdenziale. Un conto è proporre una gradualità, un conto è proporre deroghe: in più quelle deroghe, se si ripetono, determinano lo squilibrio del sistema”. E poi c’è sempre la questione dell’innalzamento automatico dell’età pensionabile: “Non si può avere un sistema che, mentre invecchia la popolazione, diviene sempre più restrittivo. Un sistema all’inseguimento dell’aspettativa di vita: è una rincorsa continua, infinita, e questo accade solo in Italia, nessun paese europeo è impegnato in questa rincorsa perenne. Il sistema previdenziale è ciò da cui si preleva ai fini di qualunque scelta relativa ai conti pubblici. È sempre una spesa da comprimere, e così si sta dicendo che una parte prevalente della popolazione non fa parte delle politiche di welfare e di prospettiva del Paese”.
L’ultima annotazione di Camusso è il netto rifiuto di “quest’idea delle contrapposizioni, come quella tra l’accesso e il diritto alla pensione e la disoccupazione: non è certo colpa dei pensionati se in questo paese non si fanno investimenti”. Il governo, conclude il segretario generale della Cgil, non dà mai “un messaggio teso a costruire una prospettiva di sviluppo, bensì compie la scelta politica di contrapporre i soggetti tra loro, invece di andare all’origine delle responsabilità. Dovrebbe esserci una norma scritta bene, la certezza del diritto e l’universalità di quel diritto, invece continuare a distinguere le condizioni di lavoro ogni volta crea discriminazioni verso qualcuno”.