"Democrazia e lavoro devono andare insieme", come insegna il 'Patto di Roma' che nel 1944 definì la presenza dei rappresentanti nei luoghi di lavoro. Con tutte le analogie e le differenze del caso. "A quel tempo il sindacato era in una condizione diversa, la politica e i governi decidevano sulle grandi questioni economiche, c'era un rapporto diretto con questi temi. Oggi invece i governi non condizionano più l'economia", o comunque "lo fanno in maniera parziale". Così il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, alla tavola rotonda "4 giugno 1944: il Patto di Roma, un sindacato libero nell'Italia liberata”.

L'appuntamento cade a settant'anni esatti dalla liberazione della Capitale, dall'eccidio de La Storta, con l'uccisione per mano dei nazisti del sindacalista Bruno Buozzi, e dalla firma - appunto - del Patto di Roma che decretò la rinascita del sindacato libero e la ricostituzione della Cgil unitaria. Un'occasione importante per fare parallelismi più che fondati tra il mondo di allora e quello odierno.

"Nel paese liberato - osserva Camusso - c'era un interesse comune nei ruoli della politica e del sindacato. Anche oggi la crisi pone il tema della ricostruzione, ma gli interessi non coincidono più. E' cambiata l'idea del modello economico della crescita. L'Italia del dopoguerra non affidò la crescita alla finanza, la affido al paese stesso. Per ricostruire il paese dobbiamo usare le risorse per gli investimenti. E se per la politica non è più scontato che il mondo del lavoro sia un blocco sociale di riferimento, allora dobbiamo avere verso il governo un atteggiamento diverso".

Il grande interrogativo, a suo a giudizio, è 'quale lavoro vogliamo rappresentare' e come la politica pensa di farlo, se dare il primato all'occupazione oppure ai salari. "Non accettiamo - aggiunge Camusso - la soglia tra il mondo dei 'garantiti' e dei 'non garantiti'. Se diventa questo l'uso della politica per non riconoscere il sindacato, rischia di diventare un punto della nostra sconfitta. Oggi l'unità sindacale è unità della rappresentazione di tutte le diverse condizioni dei lavoratori". Altro tema, la semplificazione: "Il dibattito sulla costruzione del sindacato, che nel passato faceva sofisticati ragionamenti, ve lo immaginate adesso? Sarebbe vista come una discussione bizantina. Oggi si cercano solo gli slogan".

Per il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, "il movimento sindacale ha profonde radici, è pluralista, sarà difficile scalzarlo se trova nuova forza. Dobbiamo riprendere il cammino e fare i conti con la realtà. La ricostruzione si fa rimettendo mano ai fattori di sviluppo abbandonati". E con la contrattazione aziendale, che "deve diventare privilegiata, preservando quella nazionale: è una possibilità per migliorare la qualità e quantità dei salari e dei prodotti".

Parlare di ciò che è avvenuto settant'anni fa non è solo ricordare, è una riflessione sulle sfide future. Parte da qui l'analisi del numero uno della Uil, Luigi Angeletti. "La storia del sindacato - osserva - è stata condizionata dagli interlocutori più che dalla volontà unitaria o meno. Non a caso la spinta unitaria si ebbe quando rappresentava gli operai e aveva come controparte gli industriali. Oggi "il sindacato deve decidere qual è l'interesse primario. Dobbiamo partire dall'idea che per aiutare la crescita devono diminuire le disuguaglianze e bisogna redistribuire la ricchezza. L'unità serve per difenderci, ma da sola che non risolve, funziona solo se ci poniamo un obiettivo nazionale". (mm)