“Dopo un’estate caratterizzata da eventi drammatici, dalle denunce del sindacato sulle condizioni di sfruttamento dei lavoratori e un’attenzione delle istituzioni che in alcuni casi si è trasformata in azioni concrete, non abbiamo certo intenzione di abbassare la guardia”. La presente così Giovanni Forte, segretario generale della Cgil Puglia, la manifestazione regionale indetta dalla confederazione regionale e dalla Flai per chiedere misure di contrasto al caporalato e a sostegno di un’agricoltura di qualità. I lavoratori della terra che arriveranno a Bari da tutte le province della regione sfileranno dalle ore 18 per le vie del centro cittadino, prima di confluire in Piazza Castello per il comizio finale, che sarà concluso dalla segretaria generale della Flai, Stefania Crogi.

“È necessario passare dalla fase dell’indignazione a quella della proposta – sottolinea Forte – e la Flai ha lavorato a una piattaforma che chiama in causa il ruolo del Governo e della Regione. Ma questa non è la battaglia di una sola categoria, deve vedere impegnata tutta la nostra organizzazione perché il caporalato non possiamo definirlo un fenomeno antico, in un contesto fatto di attacco ai diritti dei lavoratori e diffuso lavoro povero e irregolare. Tutti i settori sono attraversati da queste sacche di precarietà”.

La campagna d’autunno della Flai. Mobilitare i braccianti per dare più forza alle proposte che arrivano dal sindacato. Per Giuseppe Deleonardis, segretario generale della Flai pugliese, “i lavoratori devono recuperare un forte protagonismo sociale. Il ricatto di un reddito a qualunque costo, in questa lunga fase recessiva, si dispiega in tutta la sua forza. Ma ai lavoratori che è arrivato il momento di dire basta e denunciare in prima persona, assieme al sindacato, le condizioni insostenibili per paga e sicurezza in cui si lavora nelle campagne pugliesi”. E e in qualche caso si perde la vita, com’è capitato questa estate. “Morire per pochi euro al giorno, in quel modo, è inaccettabile, ogni cittadino è chiamato a urlare la propria rabbia. Ma serve prima di tutto che venga meno quel senso di impunità che vivono le imprese. Un esempio: in Puglia ci sono circa 8.000 aziende che operano nel settore agricolo, di produzion, trasformazione e trasporto . Ebbene sono solo 5.000 gli addetti. Ma è credibile? Neanche un assunto per impresa? Questo è possibile perché non ci sono controlli».

Dov’è lo Stato? Quarantamila i braccianti che in Puglia lavorano in nero secondo le stime della Cgil, ventimila nella sola provincia di Foggia, quasi tutti immigrati. Ovunque prevale il salario di piazza, assai consistente la fetta di lavoro grigio, con i dati ufficiali dell’Inps che parlano di migliaia di lavoratori iscritti negli elenchi che non raggiungono il minimo delle 51 giornate, trascritte al di sotto del numero reale soprattutto per i braccianti stranieri, un fenomeno che si traduce in evasione contributiva e fiscale. Ad avvalorare lo “stato di impunità” per le aziende che violano le norme, i numeri delle ispezioni: a fronte delle 270mila aziende agricole censite dall’Istat nella regione, i controlli nel 2014 sono stati 1.818. Delle 1.299 posizioni lavorative verificate, 1.161 non erano in regola. Per un settore, quello agroalimentare, che rappresenta il 3,7 per cento del valore aggiunto regionale (2,1 in dato Italia) e in termini di addetti l’8,9 per cento del totale (rispetto a una media nazionale del 3,7 per cento). “Lo Stato deve far sentire forte la sua presenza – rivendica Giovanni Forte -. Lo deve a queste migliaia di uomini e donne offese prima di tutto nella loro dignità e colpite nel reddito, ma anche per contrastare un’economia illegale che sottrae che arricchisce pochi a danno della collettività”.

Cosa c’è da fare. Dieci anni di conquiste anche sul piano normativo, ottenute soprattutto grazie a alla mobilitazione del sindacato. “Dal caporalato reato penale agli strumenti di contrasto al lavoro nero adottati dalla Regione Puglia negli anni scorsi – elenca Deleonardis – un percorso evidentemente non si è concluso e servono ulteriori interventi dei governi nazionale e regionale, per rafforzare il quadro normativo”. Proposte che sono il cuore della piattaforma della Flai. “Colpire le ricchezze accumulate dalla intermediazione illecita di manodopera, estendendo in solido con i caporali il reato penale. L’adozione degli ‘indici di congruità’ per colpire lavoro nero e grigio. La revoca delle agevolazioni contributive e dei finanziamenti della Pac alle aziende che non rispettano i contratti. Sono alcune delle proposte sul versante repressivo, ma occorre intervenire anche sull’incontro tra domanda e offerta di lavoro, per togliere ogni alibi alle imprese”. Sul versante della premialità non piace invece al sindacato la “Rete del lavoro agricolo di qualità”. Partita il primo settembre, l’organismo che nelle idee del Governo dovrebbe rafforzare il contrasto ai fenomeni di irregolarità fa già discutere, con una sorta di certificazione etica delle aziende che rischia di essere un boomerang. “La legge prevede che possono aderire le imprese che non hanno procedimenti penali in corso o condanne passate in giudicato – spiega il segretario della Flai pugliese -. La convenienza per le imprese è doppia: avere un marchio di qualità e per chi vi aderisce la garanzia di avere meno controlli di chi invece resta fuori. Paradossalmente, l’azienda dove lavorava la povera Paola Clemente, morta a 49 anni nelle campagne di Andria, potrebbe aderire alla Rete perché formalmente in regola. Non vorremmo diventasse l’ombrello sotto il quale si rifugiano tutte quelle imprese che ricorrono a caporali e non rispettano i contratti. Noi non abbiamo compiti ispettivi, senza denunce non solo questo strumento non aiuterà la lotta al lavoro nero ma rischia di essere per assurdo dannoso”.