Un tempo fare l'avvocato, il medico, l'architetto, l'ingegnere, o comunque il libero professionista, era la meta più ambita per chiunque, il sogno di ogni madre per il proprio figlio, in quanto garanzia di benessere economico sicuro. Oggi non è più così, e per la maggior parte dei professionisti e lavoratori autonomi può significare vivere addirittura alle soglie della povertà, quasi sempre sottopagati e comunque sottoposti a condizioni di lavoro pesantissime. È il quadro che emerge dalla ricerca ("Vita da professionisti"), presentata oggi (14 aprile 2015) dalla Consulta delle professioni della Cgil, in collaborazione con l'Associazione Bruno Trentin e con la Filcams, che ha indagato i bisogni e le aspettative del variegato universo di professionisti autonomi, composto da 27 professioni regolamentate e riconosciute tramite i relativi ordini e collegi professionali. L'indagine è stata condotta tramite un questionario distribuito on line a 2.210 lavoratori professionisti e autonomi.      

In termini più generali, lo studio ha analizzato i principali aspetti che caratterizzano il lavoro dei professionisti, il cui numero risulta in diminuzione negli ultimi anni, principalmente a causa della crisi. Nel contempo, l'indagine "si è configurata come una ricerca-azione – spiegano i due curatori Daniele Di Nunzio ed Emanuele Toscano –, volta a supportare l'intervento del sindacato per affrontare in modo più approfondito le problematiche relative a questo tipo di realtà lavorative, rafforzando la collaborazione con i professionisti e le loro associazioni". 

Considerando la tipologia contrattuale prevalente, la maggior parte degli interpellati opera con partita Iva (il 74,1%), mentre coloro che sono in subordinazione (contratto a progetto, co.co.co. e ritenuta d'acconto) sono il 18,1: tale percentuale cresce a dismisura (fino al 40%) nelle professioni della cultura e spettacolo, della formazione, insegnamento e ricerca, informazione ed editoria. Nel settore archivistico e bibliotecario arriva addirittura al 51% dei rispondenti, mentre tra gli interpreti e traduttori, oltre la partita Iva (il 65%) il contratto più diffuso è la cessione dei diritti d'autore (nel 25,6% dei casi).

Dall'analisi del reddito lordo annuale da lavoro percepito nel 2013, emergono difficoltà economiche per la maggior parte del campione: quasi la metà (il 45,7%) percepisce fino a 15.000 euro l'anno. I professionisti che hanno condizioni economiche più vantaggiose, oltre i 30.000 euro annui, sono il 21,7% del totale. Inoltre, quasi due professionisti su tre (il 60% del campione) faticano ad arrivare a fine mese, considerando il loro reddito e quello familiare. Il rischio di povertà estrema (sotto i 5.000 euro lordi annuali) interessa soprattutto cultura e spettacolo (23,7%), informazione ed editoria (25), area tecnico-scientifica (20), settore archivistico bibliotecario (27,3). Oltre alle difficoltà legate all'ammontare del reddito, emergono poi quelle legate al ritardo dei pagamenti: solo quasi un professionista su tre (29,5%) è pagato puntualmente, tutti gli altri oscillano fra i 3 e gli oltre sei mesi.

Disoccupazione e discontinuità lavorativa sono problemi diffusi e caratterizzano almeno la metà del campione di lavoratori esaminati. Le professioni più esposte a tali rischi, con valori superiori alla media, sono cultura e spettacolo, informazione ed editoria, settore archivistico e bibliotecario. Al contrario, solo il 43,4% del totale ha lavorato in modo continuativo. 

Dal punto di vista dell'orario, il campione si divide a metà tra chi ha sovraccarichi di lavoro che eccedono le 40 ore (il 44,5%), e chi invece rientra negli standard. Ritmi di lavoro eccessivi interessano il 58,4% degli intervistati. "Visti gli elevati carichi di lavoro, non stupisce la presenza di un numero piuttosto elevato di problemi fisici e psicologici per i professionisti - evidenzia il dossier -: due su tre dichiarano di soffrire di stress, ansia, depressione, insonnia". Problemi per la salute sono determinati anche dalle difficoltà di riuscire a prendersi dei giorni di riposo o malattia, che interessano il 67% del campione. E tra i bisogni dei professionisti, disposti pur di averli anche a pagare un contributo aggiuntivo, emergono proprio il sostegno in caso di malattia (il 31,7%), subito dopo il sostegno in caso di disoccupazione (il 34,5%). Segue la necessità di avere una pensione adeguata (il 24,7).

In termini di autonomia e stabilizzazione, i professionisti si definiscono (il 68,5%) "professionisti autonomi con scarse tutele", mentre alle domanda su cosa conti di più in futuro, la metà del campione punta ad avere una maggiore continuità occupazionale con più tutele, seguita dall'avere un compenso più elevato (34%). 

Non meno importante è il rapporto con il sindacato. "L'autonomia – si legge nella ricerca – è spesso ostacolata, poiché le opportunità di contrattazione sono davvero limitate e i poteri sono squlilibrati in favore dei committenti: il 68,5% del campione diichiara di avere poche o nessuna possibilità di contrattazione rispetto a retribuzioni, tempi di lavoro, durata del contratto". Seppure il sindacato abbia messo in atto numerose iniziative per rappresentare i bisogni dei professionisti e collaborare con loro per l'acquisizione di maggiori diritti e tutele, la distanza tra i due mondi rimane marcata: solo il 13,5% ha un contratto collettivo di riferimento e appena l'11 è iscritto a un sindacato, principalmente alla Cgil, con ben il 76% che non ha mai partecipato ad attività sindacali. Ad ogni modo, il 39% sarebbe disposto ad impegnarsi direttamente come rappresentante sindacale.

Nella stragrande maggioranza dei casi (79,6%), per rispondere ai problemi legati alle difficoltà economiche, alle difficili condizioni di lavoro e alla carenza di diritti, i professionisti sentono la necessità di avere delle regolamentazioni collettive capaci di tutelarli, e puntano soprattutto sull'istituzione di un equo compenso, in relazione al valore della prestazione, sotto il quale il datore di lavoro non deve scendere, valido per qualsiasi tipologìa contrattuale. Agli intervistati è stato anche chiesto di indicare due priorità, in ordine d'importanza, su cui dovrebbe concentrarsi l'azione sindacale nei loro confronti: il primo bisogno avvertito è di ottenere retribuzioni più alte, per cui si riconosce al sindacato un ruolo fondamentale; in seconda istanza, è chiesto al sindacato d'intervenire per aumentare le tutele in caso di disoccupazione, ma anche in caso di maternità e malattia, nonchè di migliorare il sistema di certificazione delle competenze per valorizzare il ruolo dei professionisti nel mercato del lavoro.

Infine, agli intervistati è stato chiesto d'indicare tre priorità, in ordine d'importanza, rispetto alle azioni che il sindacato dovrebbe fare per coinvolgere maggiormente il mondo delle professioni. La prima azione indicata dalla maggior parte del campione è di consultare i professionisti sulle loro condizioni di lavoro e i bisogni; segue l'apertura di sportelli dedicati, allo scopo di fornire servizi e tutele individuali, come l'assistenza fiscale, il supporto della contrattazione, le vertenze. "Ambedue i casi – conclude lo studio – sono segnali del loro desiderio di avere voce rispetto alle questioni che li riguardano, e di costruire una rappresentanza che parta dai loro bisogni concreti e dalle loro proposte".