È opinione diffusa, e condivisibile, che le misure adottate dal governo Berlusconi nel 2009-2010 – dai tagli al Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), alla legge Gelmini – abbiano provocato profonde conseguenze negative nel sistema universitario italiano. Tuttavia, le misure che il governo Renzi ha adottato e sta adottando rischiano di avere conseguenze più profonde, e forse ancor più negative. Il riferimento è da ultimo alle “cattedre Natta” e ai cosiddetti “ludi dipartimentali” previsti dalla legge di bilancio per il 2017; ma non solo: per comprenderne la ratio essi vanno collocati nel più generale contesto ideologico e legislativo degli ultimi anni.

Il governo Renzi ha mostrato una chiara volontà di ridisegnare radicalmente l’università italiana, e lo stesso presidente del Consiglio si è espresso molto chiaramente al riguardo. Le decisioni prese e in corso provano che si mira a differenziare il sistema fra un nucleo limitato di atenei sui quali far convergere le risorse umane e finanziarie disponibili e tutti gli altri, abbandonati a un futuro di difficoltà sempre maggiori. L’idea sembra essere che ciò che conta davvero sia avere un piccolo nucleo di atenei che ben figurino nelle classifiche internazionali. E gli altri, magari, chiudano pure.

Tuttavia, il governo non ha mai pubblicato un documento che argomenti questo indirizzo, ne illustri le conseguenze di lungo periodo per il Paese nel suo insieme e i suoi territori, lo compari con ipotesi alternative, consenta una discussione informata. Ha previsto una modifica dell’articolo 117 della Costituzione che ha sollevato non pochi interrogativi. Per il resto, si è limitato a mettere in atto il suo stesso indirizzo. Come si vedrà, in modo assai discutibile, non solo per le finalità, ma anche per il metodo. Mescolando insistiti richiami al “merito” con la soddisfazione di interessi particolari, con un approccio ai processi decisionali in cui l’arbitro partecipa attivamente alla gara.

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Il terreno era stato per diversi aspetti preparato dagli esecutivi precedenti, ma è stato l’attuale a imprimere una decisa accelerazione. Sinteticamente, e solo per taluni aspetti principali:

1) la legge Gelmini aveva previsto – anche con molte ragioni – di introdurre il “costo standard per studente”, per determinare il finanziamento base degli atenei; ma nell’autunno 2014 esso viene reso operativo usando un algoritmo assai distorsivo, che penalizza gli atenei del Centro-Sud. Si noti che è di questa opinione anche la Camera dei deputati, che il 29 giugno 2016 ha approvato unanime una mozione che chiede di rivederlo profondamente: mozione rimasta lettera morta;

2) gli esecutivi precedenti avevano introdotto una discutibile “quota premiale” nello stesso Ffo, modificandone continuamente ex post i criteri di calcolo (per cui sarebbe meglio definirla “quota discrezionale”); ma dal 2014 il suo peso aumenta fortemente. Un meccanismo che non ha paragone in alcun Paese del mondo (come evidente anche dallo stesso Rapporto Anvur 672-683), se si eccettua l’assai controverso caso inglese;

3) in questo ambito, assumono un ruolo determinante gli esiti degli esercizi di Valutazione di qualità della ricerca (Vqr). Certamente utili, ma assai discussi nelle metodologie e nelle conseguenze di lungo termine che possono produrre (una recente, accurata analisi suggerisce che essi penalizzino la ricerca maggiormente di frontiera). Ciò consiglierebbe grandissima cautela nell’applicarli al finanziamento ordinario delle università. Accade invece il contrario; per di più,vengono usati algoritmi che amplificano notevolmente le differenze emerse nella Vqr;

4) al di là dei gravi dubbi metodologici e di politica della ricerca, l’indirizzo è chiaro: la Vqr viene usata non per fornire agli atenei parametri di riferimento o per indurli a migliorare le proprie prestazioni, ma per spostare risorse da alcuni verso altri;

5) in questo quadro diviene sempre più rilevante il ruolo dell’Anvur (l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, composto da membri scelti dal ministro). L’agenzia assume sempre più un ruolo politico, a definire il quale sembrano concorrere molto le convinzioni pregiudiziali dei suoi commissari. Determina, con i criteri per la Vqr e per le Abilitazioni scientifiche nazionali (Asn) la politica della ricerca; ignorando le prese di posizione della comunità accademica; aderendo a una visione di ciò che è “buona ricerca” assai discutibile e che può avere serie conseguenze di lungo periodo sulla base scientifica del Paese;

6) a ciò si aggiunga la circostanza che la possibilità per gli atenei di assumere nuovi docenti dipende dal 2013 in misura cospicua dal gettito delle tasse degli studenti. Ora, data la struttura della tassazione per fasce di reddito nei diversi atenei, esso dipende in misura assai rilevante dalla collocazione territoriale di ogni ateneo e, quindi, dal reddito medio delle famiglie degli iscritti (che ad esempio al Politecnico di Milano è del 120% superiore rispetto all’Università della Calabria);

7) ma degna di rilievo è anche la nota vicenda dello Human Technopole, voluta dal governo Renzi, che concentrerà nell’area milanese risorse per la ricerca assai superiori a quelle disponibili per i progetti di ricerca di interesse nazionale (Prin) di tutte le università italiane.

In questo quadro si colloca, e si può meglio comprendere, la misura sulle “cattedre Natta”. Gli aspetti più rilevanti per il nostro discorso sono due. Il primo è che i vincitori saranno selezionati da commissioni presiedute da esperti nominati dal presidente del Consiglio. Ciò ha sollecitato una vera e propria messe di prese di posizione contrarie da parte del mondo accademico e severe critiche del Consiglio di Stato. Ma è procedura perfettamente coerente con l’approccio ai processi decisionali di cui si diceva in apertura, attraverso il controllo diretto sui selezionatori.

Il secondo aspetto è che i vincitori saranno liberi di prendere servizio dove preferiscono (e di muoversi successivamente, conservando il proprio stipendio maggiorato): pare assai discutibile il limite del 30% del totale (150) per un singolo ateneo, ma solo per i primi anni; in ossequio al mantra della “competizione” essi andranno dove vogliono: ma è evidente che per le assai diverse condizioni delle città e dei contesti in cui le università si collocano, e per le stesse condizioni interne, essi si concentreranno certamente nelle aree più forti e ricche del Paese, contribuendo all’auspicato ridisegno.

Non si può tacere infine che delle “cattedre Natta” potranno giovarsi anche le università private, come la Bocconi. Difficile comprendere come ciò si concili con l’orgogliosa rivendicazione della natura privata dell’ateneo, portata a esempio per la comunità nazionale: immaginiamo ci si stia attivando per impedire che docenti integralmente a carico del contribuente italiano prendano servizio alla Bocconi.

In questo quadro si collocano anche i cosiddetti “ludi dipartimentali”, previsti dalla legge di bilancio per il 2017, di importanza finanziaria ben maggiore delle “Natta” (271 milioni all’anno). Si tratta di una misura assai articolata e complessa, rispetto alla quale sono emersi rilevanti dubbi anche da parte di studiosi favorevoli all’impostazione su cui essa si basa. Nei “ludi” si ritrovano gli elementi richiamati in precedenza. Sarà disposto un cospicuo finanziamento aggiuntivo, per cinque anni, a favore di 180 dipartimenti universitari su 814, in base agli esiti della Vqr 2011-2014 (valgono le considerazioni già accennate sull’utilizzo della Vqr a fini di finanziamento differenziale).

Si sceglie dunque di non ripristinare, neanche parzialmente, le dotazioni tagliate a partire dal 2008 al Ffo, malgrado oggi esse includano una quota “premiale” assai rilevante; si crea invece un’ulteriore voce super-premiale. Nascerà, così, finalmente e ufficialmente, la “serie A”: i 180 dipartimenti “ottimati”, vanto del Paese, che riceveranno risorse e potranno reclutare anche nuovi brillanti docenti (specie sottraendoli alla “serie B”); e gli altri (magari definibili “per il popolo”).

Come il limite del 30% per le “Natta”, anche l’idea che dopo cinque anni si rifaranno i “ludi” e chi ha perso potrà vincere appare solo formale: non si capisce grazie a che cosa, dopo questo trattamento, un dipartimento “ottimato” possa essere battuto da un dipartimento “per il popolo”. Chi decide? Naturalmente l’Anvur, sulla base del suo “Indicatore standardizzato della performance dipartimentale (Ispd)”. I 350 promossi in base all’Ispd gareggeranno in un “ludo” in due tempi, in cui gli arbitri saranno 7 superesperti, di prevalente nomina politica: due nominati e quattro designati (su liste indicate dall’Anvur e dal Comitato nazionale dei garanti della ricerca) dal ministro e uno dal presidente del Consiglio.

Alla luce degli esiti della Vqr 2004-2010 già noti, è certo che l’impatto territoriale di questa misura sarà quello atteso (ed evidentemente auspicato): e cioè una collocazione assolutamente prevalente degli “ottimati” al Centro-Nord e in particolare al Nord. Nell’indifferenza della politica, nell’assordante silenzio della Crui, la Conferenza rettori delle università italiane, e nell’ostilità nei confronti dell’università di larghe fasce dell’opinione pubblica (frutto di una campagna di stampa che amplifica sistematicamente le pur notevoli criticità esistenti), le vivaci opinioni critiche di settori del mondo accademico e intellettuale sono, temo, destinate a scontrarsi con la coerenza e la forza politica e ideologica di questo disegno che certamente gode del sostegno di chi ne sarà avvantaggiato.

Si accentuerà così il declino di larga parte del sistema universitario italiano, soprattutto delle università del Sud (e di molte del Centro). La scelta è radicale: dato che si ritiene relativamente inferiore nelle università del Sud la “qualità della ricerca”, non si agisce per migliorarla, ma per peggiorarla. Nonostante le università svolgano un ruolo fondamentale per lo sviluppo regionale, nel nostro Paese prevale l’idea che sia meglio chiudere le “fabbriche di illusioni”.

Dai tempi in cui Beniamino Andreatta e Paolo Sylos Labini lottarono per lo sviluppo della Calabria, fondando nell’ambito del suo territorio un’università, molta acqua è evidentemente passata sotto i ponti. Domani se proprio lo vorranno i ragazzi calabresi (di buona famiglia) potranno frequentare prestigiose università nella parte “seria” del Paese. Gli altri si arrangeranno.

Gianfranco Viesti è professore ordinario di Economia applicata all’Università di Bari