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Il cinema, con poche eccezioni, ha sempre parlato poco del lavoro, preferendo, come ad esempio nel neorealismo italiano, concentrarsi su soggetti sociali quali i poveri e i disoccupati o, come nel cinema hollywoodiano, dare spazio a professionisti e manager più o meno rampanti. Il perché di tale esclusione tenta di spiegarcelo un interessante volume edito dalla Princeton University Press. Non è un testo nuovo (l’anno di edizione è il 1998), è di un autore americano, Steven Ross, che dirige il Dipartimento di Storia presso la University of South California, e non è mai stato tradotto in italiano, per cui chi lo vuole leggere dovrà acquistarlo, per circa 27 dollari, su Amazon o richiederlo tramite il prestito interbibliotecario.
Nonostante tutte queste difficoltà, se siete appassionati di storia del lavoro e del cinema, è una lettura imperdibile. Il titolo è evocativo: Working Class Hollywood, Hollywood e la classe lavoratrice. Ross prende in esame la ricca produzione cinematografica americana nei primi tre decenni del 900, tra il 1907 e il 1930, scoprendo che in quell’epoca moltissimi film muti (oltre duecento) prodotti a Hollywood avevano per oggetto le classi lavoratrici e i conflitti di lavoro. Registi famosi come Charlie Chaplin, D. W. Griffith e William C. de Mille giravano film che avevano per tema i lavoratori e la difesa dei loro diritti.
Poi vennero alla ribalta gli stessi operai, che divennero registi e produttori di film di protesta, realizzando titoli come A Martyr to His Cause (del 1911, dedicato alla nascita del sindacato Afl) o The Gastonia Textile Strike (del 1929, un documentario realizzato dal cameraman Sam Brody durante lo sciopero delle fabbriche tessili di Gastonia, in South Carolina). Questi film raccontavano una classe operaia forte e unita che intendeva trasformare l’America. Erano considerati tanto pericolosi che Edgar Hoover, dal 1924 direttore dell’Fbi, aveva creato una sezione della polizia per spiarne i registi e gli attori.
I film operaisti e radicali scomparvero dalle scene verso la fine degli anni venti. In quel periodo, che segna il passaggio dal muto al parlato, nasce il sistema dei grandi studios californiani che iniziano a realizzare colossal, assumono registi, tecnici e attori, comprano sale e teatri e possono così attuare un controllo capillare della produzione. In questo nuovo sistema non c’è più posto per la classe operaia e i film veicolano l’immagine di un’America benestante e consumista, senza conflitti sociali e senza classi. Un falso storico, ma molto ben riuscito.
(Steven J. Ross, Working-Class Hollywood: Silent Film and the Shaping of Class in America, Princeton University Press, 1998)