Gazebo informativi affollati pressochè ovunque, assemblee partecipate in tutti i luoghi di lavoro, un corposo dossier in preparazione con l'elenco di tutte le vertenze degli ultimi anni, che hanno caratterizzato la vita sindacale della regione. E, ancora, 150 pullman e diversi treni speciali da organizzare, con migliaia di lavoratori, giovani e pensionati già prenotati in lista, pronti a partire per Roma. Così la Cgil Puglia si prepara alla manifestazione del 25 ottobre, le cui modalità sono state spiegate stamattina a 'Italia parla', la rubrica di Radioarticolo1 (qui si può ascoltare il podcast), dal segretario regionale, Gianni Forte.

"Attorno alla manifestazione del 25 – ha esordito il dirigente sindacale – c'è grande interesse, attenzione, aspettative. Quindi anche una voglia di esserci e di farsi sentire. Questa manifestazione tocca l'orgoglio di ciascun lavoratore di voler contare, di farsi ascoltare. E lo stesso slogan, 'Lavoro, dignità, eguaglianza', è assai significativo per la Puglia. Sono parole-chiave che da noi hanno un valore maggiore, perché è diversa la condizione del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese, non fosse altro per il tasso di disoccupazione, una vera e propria forbice, che va dall'8% del Centro-Nord ad oltre il 20 del Sud; da qui, viene fuori il dato medio del 13%, ma la distanze tendono sempre più ad accentuarsi. Questa è la preoccupazione più grande che abbiamo, con l'esplosione del lavoro povero, non tutelato e non garantito. Da tale punto di vista, la situazione è sempre più drammatica. Basti pensare che lo scorso anno 326.000 lavoratori hanno fatto richiesta di sostegno al reddito in termini di Aspi, mini Aspi, straordinaria e agricola, su una forza lavoro di un milione e 200.000 persone. Nella nostra regione l'area della precarietà si attesta attorno alle 500.000 unità: si sono utilizzati 495.000 voucher per lavoro evidentemente discontinuo, e questo dà l'idea di una situazione che si va sempre più sfaldando dal lato della tenuta sociale". 

"In tale quadro – ha continuato Forte –, è evidente che la libertà delle imprese di licenziare non può affatto aiutare ad acquisire nuovi posti di lavoro. Se fosse vero che attraverso la flessibilità in uscita aumenterebbe la forza lavoro, chissà quale esplosione di forza lavoro ci sarebbe, per quanto precarietà c'è in Puglia! Ad esempio, nel settore agricolo, dove abbiamo 110.000 persone che operano nel settore, pressochè tutte precarie. Malgrado ciò, l'occupazione non solo non aumenta, ma al contrario diminuisce, e quindi è comunque una soluzione, quella della flessibilità in uscita attraverso gli interventi sull'articolo 18, che non determinerà alcun vantaggio, anche perché in Puglia il 95% delle imprese è sotto i 15 dipendenti, e quindi la polverizzazione del sistema è assai forte. Perciò, è bene tutelare quei capisaldi che possono determinare il mantenimento del sistema dei diritti, per consentire un'azione di deterrenza, ma anche di capacità di individuare attraverso gli strumenti che abbiamo a disposizione, a partire dallo Statuto dei lavoratori, una situazione di maggiore stabilità. Dunque, in prospettiva si deve tendere all'aumento della stabilizzazione della forza lavoro, perché mezzo milione di persone vivono in una condizione di perenne incertezza".

Un altro pezzo importante del Jobs act riguarda la riforma degli ammortizzatori sociali. "Su tale versante – ha rilevato il leader della Cgil pugliese – abbiamo già pagato un prezzo alto: il bacino di fruitori di cassa integrazione in deroga è passato in poco tempo da 40.000 a meno 9.000 unità. E quelle oltre 30.000 persone che non ne fanno più parte, non è che nel frattempo abbiano trovato un nuovo lavoro, ma sono stati consegnati alla disperazione più assoluta, perché non hanno né un lavoro né una pensione né un ammortizzatore sociale nè qualsiasi forma di sostegno al reddito. Tutto ciò non fa che creare maggiore sofferenza: non a caso, abbiamo insistito e siamo riusciti a fare un accordo con la Regione per il lavoro di cittadinanza, che, anche in termini nominalistici, acquisisce un valore particolare, perché non andiamo a chiedere assistenza, ma lavoro di pubblica utilità per le persone, in attività fondamentali come la tenuta e la conservazione del territorio".

Tra le altre misure contestate nel Jobs act ci sono anche le norme sul demansionamento, sul controllo a distanza. "La Puglia – ha ricordato Forte – è la regione che ospita una delle più grandi aziende italiane, l'Ilva di Taranto, una realtà difficile, dove i dipendenti sono già demansionati di per sé, perché al massimo arrivano al terzo livello metalmeccanico, dopo aver subìto tutto il processo della formazione lavoro ed essendo poi passati attraverso anni di precarietà. Ma esistono specialmente nel sistema delle piccole imprese e nei settori più in difficoltà, tanti altri lavoratori che vivono in condizioni di debolezza, incapaci di tutelare i propri diritti. In tutti quei casi, effettivamente si determinano condizioni di lavoro unilaterali da parte delle imprese. E allora dare ulteriori elementi di discrezionalità alle imprese per agire in termini di flessibilità nell'uso della forza lavoro, e quindi anche attraverso il demansionamento, mi sembra davvero eccessivo. A meno che non si intenda aprire le porte a una vera e propria schiavizzazione del lavoro, creando un ulteriore peggioramento delle condizioni di lavoro".

Secondo una vulgata diffusa, si dice che il sindacato non rappresenta il lavoro precario e che tutela solo i garantiti. "Se tale diceria fosse vera – ha obiettato il numero della Cgil pugliese –, al Sud il sindacato non esisterebbe più, vista la preponderanza di lavoratori discontinui in tutte le attività del lavoro povero. Penso al sistema degli appalti, che ad ogni rinnovo subisce decurtazioni in termini di orari. Tanto che siamo arrivati al punto che vi sono lavoratori impiegati per un'ora o due al giorno e organizzazioni di categoria continuamente impegnate a tutelare il lavoro molto spesso in maniera difensiva, questo è vero, ma anche a rappresentare un riferimento per quegli addetti, perché senza il sindacato sarebbero completamente alla mercé sia delle stazioni appaltanti sia dei datori di lavoro. Quindi, il sindacato sta lì, davanti alle fabbriche a difendere i posti di lavoro dal rischio di licenziamento. Questo è il sindacato, che riesce a recuperare anche in termini di rappresentanza laddove è difficile entrare in azienda, perchè non c'è agibilità, ed è capace di costruire le condizioni perché i lavoratori possano trovare punti di riferimento in termini di tutela individuale e collettiva".