Un ragazzo che ha perso le dita di una mano. Raccoglitori di pomodori a Foggia. Lavoratori della ex Fiat che raccontano la loro condizione. Fattorini di Foodora pagati a cottimo per ogni consegna. E frammenti di manifestazioni, bandiere rosse in piazza per opporsi, ancora oggi. È un percorso nel contemporaneo 967 Il tempo del Noi, il film di Mimmo Calopresti proiettato in anteprima alle Giornate del lavoro della Cgil a Lecce (giovedì 13 settembre al Teatro Apollo, ore 15.30). Nel docufilm di 60 minuti il regista inquadra l'Italia del lavoro, a partire dai fatti degli ultimi anni, la situazione che hanno determinato e – più che mai – la necessità viva di resistere.

Il racconto si apre con una giovane vittima di un infortunio sul lavoro, alla pressa di una fabbrica, che gli ha portato via le dita. Oggi non riesce più a suonare la chitarra. “Che contratto avevi?”, chiede Calopresti. Lui sorride amaro: “Contratto? Non so neanche cosa sia”. Veniva pagato in nero, 5,50 euro l'ora in contanti, circa 2 euro in meno del valore di un voucher: “Il lavoro non è tutto nella vita – dice –, i soldi vanno e vengono, le mie dita non tornano più”.

Vediamo le immagini di storie peculiari, ma anche episodi di ordinario sfruttamento: lavoratori precari, senza contratto né possibilità di programmare il domani. Vediamo i braccianti stranieri nella tendopoli di San Ferdinando, che lavorano nei campi e vivono senza i servizi elementari. Vediamo il passo dei tempi, incarnato dal lavoratore maturo ai cancelli dell'ex stabilimento Fiat ora divenuto Fca: racconta la “liberazione” della pensione, dopo le leggi che hanno alzato l'età, e l'introduzione delle nuove tecnologie che non hanno migliorato le condizioni, portando anzi fatica, orari più lunghi, stipendi bassi.

Le parole dei lavoratori si alternano alle immagini delle manifestazioni della Cgil. Come a dire: questo lo stato delle cose, certo, ma si può sempre fare qualcosa. Lo spiega il segretario generale, Susanna Camusso, interpellata dal regista: “Veniamo da una stagione in cui si è pensato che non si potesse più reagire, e invece c'è una grande voglia di contrastare la situazione – afferma –. Allora proviamo a progettare: non è vero che tutto è deciso nel presente, nelle persone c'è una forte volontà di definire il futuro”.

In un innesto di finzione, l'attore Francesco Paolantoni recita lo stereotipo di un capo che si rivolge ad alcuni lavoratori, dando lezione alla lavagna. Risponde alle loro domande: “Volete i contributi? E perché? Tanto in pensione non ci andrete mai”. La scena si conclude con un lancio di voucher, in un'iperbole tragicomica che mette allo specchio il presente.

Il film ripercorre poi la campagna della Cgil per la Carta dei diritti universali del lavoro, fino alla consegna in Parlamento di tre milioni e trecentomila firme a sostegno dei quesiti referendari. Quindi le tappe della mobilitazione, con i lavoratori che arrivano in treno all'alba per scendere in piazza a Roma. La macchina da presa si aggira tra giovani, anziani, donne e bambini per le strade che partecipano alla protesta: un popolo in marcia che non si arrende, e dunque il finale non può che essere sulle note di Bella ciao.

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