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Non è facile, certo. I numeri parlano chiaro: l’ultimo sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera stima un’affluenza tra il 32% e il 38%, ben al di sotto di quel 50% più uno necessario per rendere validi i cinque referendum sui temi cruciali del lavoro e della cittadinanza. Ma dentro questa difficoltà, dentro questo scarto ancora ampio, si intravede qualcosa che somiglia a una speranza. Un movimento. Un’energia che cresce, che si alimenta del silenzio imposto e della rimozione sistematica.
Come ha ricordato ieri Maurizio Landini al Salone del Libro, “il problema è far conoscere i referendum. Tanti ancora non li conoscono perché Rai e altri soggetti non stanno aiutando”. Eppure, ha aggiunto, “sono ottimista perché abbiamo venti giorni davanti e penso che siamo nella condizione di raggiungere il traguardo”. Non è un ottimismo di maniera: è quello di chi sta ogni giorno nei territori, tra le persone, nei luoghi di lavoro, nelle piazze, nei gazebo, come quello montato dalla Cgil davanti al Lingotto, a Torino, da giorni. Lì la politica è tornata materia viva, partecipata. Lì i cittadini fanno domande, si confrontano, scoprono che possono ancora contare qualcosa.
I cinque quesiti referendari – sulla lotta alla precarietà, sul diritto a un reintegro reale in caso di licenziamento illegittimo, sulla sicurezza in appalto, sulla responsabilità delle imprese in caso di infortunio, sulla cancellazione dei vincoli al diritto alla reintegrazione, sul dimezzamento dei tempi per richiedere la cittadinanza – toccano nervi scoperti del mondo del lavoro italiano. Sono referendum per chi lavora, per chi un lavoro non lo ha o lo ha perso, per chi è precario, per chi si ammala o muore sul posto di lavoro senza che nessuno paghi. Non sono tecnicismi: sono la traduzione concreta del principio costituzionale che fa del lavoro la base della Repubblica.
Chi invita a disertare le urne non teme il “fallimento” del quorum, ma la partecipazione. Perché sa che, se milioni di persone tornano a votare per cambiare, per dire sì a più diritti, a più giustizia, allora quella spinta non si ferma. La paura è che il popolo torni protagonista.
E qualcosa si muove. “Vedo che sta crescendo l’interesse – ha detto ancora Landini –. Quelli che stanno invitando a non andare a votare stanno avendo l’effetto opposto”. È il paradosso della censura: più si nega uno spazio, più cresce la voglia di occuparlo. E così, giorno dopo giorno, la sfida impossibile del quorum torna a essere un terreno contendibile. Perché la partita si gioca tutta nelle prossime tre settimane: nei banchetti, nei social, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle trasmissioni che (forse) decideranno di fare il loro mestiere.