Come rigenerare un territorio in area di crisi industriale complessa? Forse in ragione del fatto che la cultura economica mainstream sia tuttora ancorata a un’idea di impresa infra-muros, si potrebbe far fatica ad accettare l’idea che processi di rigenerazione, anche economica, passino da dei piccoli borghi della nostra Italia interna.

Rocca Sinibalda, Belmonte, Colle di Tora, Longone, Marcetelli, Torricella, Monteleone, Poggio Moiano, Poggio S. Lorenzo, Varco Sabino, tutti i dieci comuni dell’Alleanza di scopo Community Sustainable Resilience CSR – Alta Sabina, per la quale la Fondazione Di Vittorio ha coordinato la progettazione del bando Pnrr Green Communities, insistono su un’area di crisi industriale complessa, riconosciuta dal D.M. del 13 aprile 2011 e dall’Accordo di Programma, sottoscritto il 17 dicembre 2014.

Dagli anni Cinquanta, epoca delle prime potenti forme di industrializzazione, ad oggi, lo spopolamento di quest’area si è trasformato in un vero e proprio esodo. Alcuni dati indicativi: l’indice della popolazione residente nell’aggregato di comuni, rispetto agli ultimi due censimenti, è inferiore di quattro punti percentuali rispetto alla media nazionale (- 4,2%, 10 comuni della Csr – Alta Sabina; - 0,3%, media nazionale).

Il superamento della media italiana dell’indice di vecchiaia è ben superiore: 289,7 10 comuni; 182,6 media nazionale). La diminuzione, infine, della Superficie agricola utilizzata (Sau), rispetto ai due ultimi censimenti generali dell’agricoltura raggiunge, poi, livelli record: - 48,2 10 comuni Csr – Alta Sabina; - 2,5 media nazionale. Basti pensare che a Marcetelli, il borgo più piccolo e periferico dell’aggregazione, la variazione percentuale della Sau, tra 2000 e il 2010, raggiunge il 96,6 %. Dato, quest’ultimo, che implica che la principale fonte economica di quel comune – l’agricoltura – negli ultimi vent’anni è praticamente scomparsa.

In relazione agli scenari di quest’area, uno dei suoi principali stakeholder territoriali, il segretario generale della Cgil di Rieti Roma Est Valle dell’Aniene, in una nostra intervista del gennaio 2020 sosteneva:

“Se non si immagina, e si promuove, un modello di sviluppo innovativo, che sia anche sostenibile, di reinsediamento sociale e produttivo, probabilmente non si va da nessuna parte. Il fatto di contare solo sul sistema delle imprese è l’errore principale. Ciò che va promosso e incentivato è il concetto stesso di comunità, con la sua articolazione, il suo sistema di servizi e di accesso al mondo globale. In una provincia dove ci sono oltre settanta comuni di cui la stragrande maggioranza è povera o poverissima di abitanti, senza un investimento sociale di ritorno corriamo il rischio di disperdere quello che di buono ancora abbiamo.”

A fianco dell’Alleanza di scopo Csr-Alta Sabina, la Fondazione Di Vittorio, lo scorso 16 agosto, ha presentato al Dipartimento autonomie regionali della presidenza del Consiglio una strategia che mette a sistema 15 interventi che innestano, sostengono, infrastrutturano le fondamenta dello sviluppo del capitale socioterritoriale della Green Community.

Ponendo al centro i Servizi Ecosistemici (Se), la strategia riguarda l’infrastrutturazione dei processi di rigenerazione e gestione partecipata delle biofiliere (orizzontali e verticali) del patrimonio territoriale, puntando alla autosostenibilità di alcuni cicli (legno, acqua, energie rinnovabili, agricoltura e turismo) e una rete integrata di infrastrutture immateriali e materiali, tra cui quelle della mobilità interna. Facendo leva sulle vocazioni autoctone e l’integrazione tra saperi esperti e la conoscenza locali dispersa o tacita (Polanyi, 1966), l’intera strategia fa perno sull’infrastrutturazione di un Patto sociale di comunità per la negoziazione di scenari di futuro condivisi. Il progetto, quindi, mira alla sostenibilità del territorio nelle sue diverse dimensioni (ecologica, culturale, sociale ed economica), alla tenuta/incremento/qualificazione dei livelli occupazionali, al contrasto dell’esodo demografico, alla tenuta/incremento dei flussi turistici e delle produzioni di qualità anche attraverso l’ispessimento dei legami comunitari, in compliance con la Strategia Nazionale Forestale, con gli obiettivi del Pnrr Italia, con l’Agenda Onu 2030, nonché con il Green New Deal europeo.

Due dei quattro interventi di sistema che sostengono gli altri undici, consistono nell’implementazione di un gemello digitale (digital twin), in native app, che gira blockchain. Perno della strategia progettata, è dunque un approccio metodologico (sistemico e multiscalare), delle tecnologie civiche e una visione sistemica che considerano la trasformazione digitale, la riqualificazione e l’efficientamento dei flussi di risorse non solo “strumenti” di sviluppo ma “opportunità” di co-produzione di valori territoriali, nell’ambito dell’economia circolare e dell’impact economy dei SDGs.

Una volta gli economisti, ma anche pianificatori territoriali, architetti o urbanisti, parlavano della riqualificazione socioeconomica di un’area di crisi solo in riferimento a volumetrie (fabbriche, strade, edifici, piazze …), nell’ipotesi che, dentro uno spazio modificato e, magari, competitivo in termini meramente econometrici, i lavoratori, i cittadini, gli abitanti di quei luoghi sarebbero diventati persone migliori. Oggi invece non è data riqualificazione territoriale se non in termini di “rigenerazione”.

Per lo sviluppo inclusivo e sostenibile di un territorio, specie in aree di crisi industriale complesse, è necessario cioè innescare, abilitare, capacitare, infrastrutturare processi di comunità, di riappropriazione, di ispessimento di legami e di ri-significazione dei luoghi per dare cornici di direzione e senso a scenari condivisi del loro futuro.

In questa prospettiva, le tecnologie civiche adottate nella progettazione socioterritoriale della Fondazione Di Vittorio permettono, in sintesi:

  1. l’embedding dell'ecosistema territoriale, in cui le amministrazioni comunali, e gli stessi cittadini o i turisti che la frequentano ma anche le risorse naturali presenti, diventano una parte rilevante dell'ecosistema perché incorporano in esso la propria voce, i saperi taciti, le capacità di abilitare e co-creare beni comuni.
  2. L’auto-organizzazione (autopoiesi) dell’ecosistema: gli operatori (lavoratori, cittadini, stakeholders, amministratori) possono coordinarsi tra loro per emettere un "token di comunità", oltre a creare gettoni individuali.
  3. Il self-service dei diversi servizi ecosistemici territoriali che valorizzano e gestiscono i beni comuni riconosciuti.
  4. L’auto-monitoraggio, in tempo reale, delle decisioni: i dati relativi alle scelte individuali, che l'utente del wallet in native app accetta di condividere al momento della registrazione, non vengono condivisi con terzi e rimangono a disposizione dell’ecosistema locale. E questa funzionalità è in contrasto con molti servizi di co-produzione che girano in piattaforme e sistemi proprietari che allocano il controllo dei dati lontano dai cittadini.

Quale idea di sviluppo territoriale per un’area di crisi industriale complessa emerge, dunque, da questo progetto? Quella di resonant open innovation che si riferisce all’infrastrutturazione delle condizioni contestuali di processi di sviluppo sostenibile e inclusivo, all’abilitazione e alla circolazione di conoscenza, e competenze, tra i diversi attori. L’accento è posto sui valori riconosciuti e condivisi dalla Green community Csr – Alta Sabina, affinché non siano catturati, estratti o alienati da comunità e risorse, bensì co-creati all’interno di un intero ecosistema socio-organizzativo (cfr Cannatelli e Smith, 2011).

#lacgilc'è

Elena Battaglini, Senior Scientist Fondazione Giuseppe Di Vittorio

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