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Nel laboratorio onirico del ministero della Salute, dove la realtà è un incidente amministrativo, l’impossibile è ormai prassi. Dovevano nominare Attilio Parisi, medico dello sport, ma la macchina ministeriale, fedele alla sua vocazione per l’improbabile, ha scritto Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica. Così l’uomo che studia le particelle subatomiche è diventato, a sua insaputa, presidente della commissione antidoping.
C’è un fascino irresistibile e perverso in questa svista che profuma d’autoritratto nazionale. Non è la gaffe di un impiegato distratto, ma l’epifania di un sistema che confonde i cittadini come le fotocopie. In Italia la competenza è un accidente statistico e la casualità una regola d’ingaggio. Qui la fisica quantistica non si insegna, si pratica ogni giorno negli uffici. Particelle di intelligenza disperse in campi di modulistica infinita.
Immaginiamoci la scena. “Chi mettiamo al doping?”. “Parisi”. “Ottimo, quello intelligente”. “Perfetto, così sembriamo colti”. E giù firme, sigilli, comunicati, sorrisi istituzionali. Il ministro Schillaci, “molto dispiaciuto”, recita stupore come un attore di terz’ordine. È il teatro dell’assurdo con biglietto pagato dal contribuente, dove persino Beckett chiederebbe il congedo per esaurimento mentale.
Intanto il Nobel, ignaro e innocente, diventa un’entità quantistica: nominato e inconsapevole, presente e assente, genio e scartoffia nello stesso spazio-tempo amministrativo. E mentre il Paese discute di riforme immaginarie, il ministero crea la sua: la burocrazia entropica. Dove l’errore è legge e la precisione un reato d’opinione.
E così l’Italia avanza verso l’assoluto del grottesco, patria della nomina casuale e dell’idiozia organizzata. Due Parisi convivono nello stesso faldone come due universi paralleli che nessuno sa distinguere. È la perfezione del caos, la sinfonia del refuso, la fisica dell’assurdo. Poteva comunque andare peggio, certo, potevano darlo a Heather Parisi. Cicale, cicale.