“Ho semplicemente chiesto di firmarmi le presenze del mese del mese passato con tre ore di straordinario, perché succede che ci sia del lavoro in più, io ho un part time e quindi mi fermo per portare a termine le pratiche in lavorazione. Il datore di lavoro non me l'ha voluto riconoscere in nessun modo, ma non me l’ha detto con gentilezza, bensì usando toni imperativi: “No, tu le devi togliere, non mi interessa, perché tu già non lavori abbastanza”. Quindi per evitare questioni inutili, anche perché è una persona anziana e ha anche l’abitudine di urlare, io gli ho detto che le avrei tolte. L’importante era che mi firmasse il foglio-presenze”. Così inizia il racconto della giovane impiegata di 32 anni di una nota azienda edile di Formigine, in provincia di Modena, picchiata dal proprio datore di lavoro. 

Un’esplosione di rabbia

“Gli ho però precisato che da quel momento non mi sarei mai più fermata oltre l’orario di lavoro regolare, anche in caso di emergenza – prosegue ai nostri microfoni -. Questo non per ripicca, ma per una questione di giustizia. La mattinata è poi proseguita in maniera tranquilla. Alla fine del mio turno, alle 12.57, sono arrivate delle pratiche da sbrigare e io ho detto che lo avrei fatto il giorno dopo, perché il mio turno era finito.

A quel punto il datore di lavoro mi ha imposto verbalmente di rimanere, io mi sono rifiutata, ricordandogli che non mi aveva riconosciuto gli straordinari, e lui è praticamente impazzito: io seduta e lui in piedi, mi ha tirato una manata sulla scapola, poi mi ha afferrata per un braccio e scaraventata fuori dall’ufficio gridando “vattene, sei licenziata!””.

Un comportamento violento che la giovane donna non riesce a spiegarsi: “Aveva sempre sostenuto che non avrebbe mai messo le mani addosso a una donna e che era quello che insegnava ai suoi figli. Mi chiedevo allora perché con me si fosse comportato in quel modo. Poi i carabinieri, dopo averli chiamati, mi hanno raggiunta davanti al posto di lavoro e con loro l’ambulanza che mi ha portata al pronto soccorso dell’ospedale di Sassuolo”.

Lasciata sola dai colleghi 

Ora la lavoratrice è in malattia, non vuole più entrare nel luogo dove è stata vittima della violenza del capo con la paura che l’uomo reiteri l’esplosione di rabbia, magari con esiti peggiori. Lui ha negato i fatti davanti alle forze dell’ordine. “Eventualmente darò le dimissioni volontarie. Io ho fatto la denuncia e mi sono rivolta alla Fillea Cgil locale per chiedere tutela. Adesso, tramite il mio avvocato e il sindacato, aspetto di capire cosa accadrà. Rimane il fatto che ho un mutuo per la casa da pagare…e questo il mio datore di lavoro lo sa”.

“Quando è accaduto questo episodio c’era solamente uno dei due colleghi solitamente più o meno presenti. Lui è rimasto a bocca aperta, però non potrò mai e poi mai fare affidamento sul fatto che lui testimoni, perché io sono la dipendente e l’altro il padrone. Non ho ricevuto nessun sostegno dai colleghi, nessun atto di solidarietà, solamente continue e insistenti telefonate per conoscere le password delle banche o dei computer, senza che nessuno mai mi chiedesse almeno come sto. Ora sto anche cercando un altro posto di lavoro e spero di trovarlo presto, così da potere affrontare meglio la causa”.