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Alla fine il populismo è stato sconfitto. Non a Berlino, non a Parigi, né nell’Italia che si illude di essere il centro del panorama politico europeo. No, è accaduto in Romania. Proprio lì, in quel Paese che tanti “europeisti doc” continuano a trattare come una provincia remota, da osservare con sufficienza tra una battuta sulle badanti e una lamentela sui camion incolonnati in autostrada.
E invece Bucarest ha compiuto il gesto più rivoluzionario possibile: ha votato con intelligenza. Ha premiato Nicușor Dan. Matematico, tecnico, privo di carisma televisivo, sobrio fino all’ascetismo. Un uomo che non strepita, non gesticola, non si esibisce su TikTok, non si riempie la bocca con parole come “identità”, e non scarica su Bruxelles la colpa di ogni cavolo andato a male. E ha vinto. Davvero. Non con le scuse patetiche di chi perde proclamandosi “portavoce del popolo”.
Aur, il partito ultranazionalista, è stato ridimensionato. Durante la campagna elettorale sembrava pronto a invadere i centri storici con parate di folklore identitario e fake news fermentate. Matteo Salvini, che già pregustava un nuovo amico da esibire a Pontida tra un selfie e un’invocazione al rosario, dovrà farsene una ragione. Sconfitti anche i mestieranti del rancore, quelli che si credevano imbattibili solo perché più rumorosi. I “patrioti su commissione”, quelli che distribuiscono fierezza nazionale a rate, insieme al deficit.
La Romania, invece, ha scelto l’Europa. Ma non quella da cartolina, tirata a lucido per firmare dichiarazioni solenni e promettere uguaglianza a scadenza. Ha optato per un’Europa tangibile e che guarda al futuro. Ha preferito il progresso alla propaganda. La sostanza, non la sceneggiata.
È un messaggio destabilizzante anche per gli strateghi del centrosinistra continentale, convinti che per fermare l’estrema destra basti imitarla in versione più educata. No: la Romania ha mostrato che si può vincere senza strizzare l’occhio, senza scimmiottare l’avversario in grammatica migliorata. Basta crederci. E, soprattutto, avere una visione. Il populismo, da oggi, ha un nuovo grattacapo: la Romania. E noi, forse, un motivo in più per non arrenderci.