Filippo Ferri, ex regista della messinscena sanguinaria andata in onda alla scuola Diaz di Genova nel 2001, è pronto al grande ritorno: il primo giugno debutta come questore a Monza. Il suo è un curriculum da manuale di repressione creativa: botte a freddo, prove inventate, molotov fai-da-te. Un prodigio in divisa, cresciuto all’ombra dell’impunità e premiato nel pieno rispetto della tradizione italiana: chi ha picchiato bene, oggi comanda meglio. Quelli che, per capirci, hanno lasciato le loro generalità incise nei verbali della Cassazione.

Il famigerato pestaggio al G8 è una pagina memorabile di creatività e bravata istituzionale. Una fiction d’azione scritta a manganellate, dove i protagonisti dormivano e i cattivi erano immaginari. La polizia entrò come in un reality, solo che al posto del confessionale c’erano gli estintori. Ferri, sceneggiatore d’eccezione, firmò il capolavoro giuridico che trasformò studenti e turisti in black bloc da esportazione. Colonna sonora: schianti, urla e denti per terra.

Adesso è tutto dimenticato. L’Italia ha un grande cuore: perdona chi picchia, promuove chi falsifica. La chiamano seconda possibilità. Solo che i ragazzi pestati tra le mure scolastiche non hanno avuto nemmeno la prima. E mentre le sentenze parlano di “massacro”, il Viminale applaude. Il dirigente rientra, avanza, incassa. L’ordine e l’onore pubblico sono salvi. O almeno ben anestetizzati.

In Brianza, intanto, la protesta monta. Cittadini, docenti, avvocati, politici: tutti a invocare decenza. Ma da Roma si sente solo il fruscio delle tendine abbassate. Il ministro Piantedosi finge di non vedere, guai a rovinare l’arredo ministeriale con un rigurgito di coscienza.

E così la Diaz smette di essere una ferita e diventa metodo. Tappa obbligata per chi sogna i piani alti. Hai insabbiato, coperto, caricato? Benvenuto nella catena di comando. L’impunità, nel nostro Belpaese, non è una falla, è un format. Ed è così che da Genova a Monza, la democrazia si conserva. Sottovuoto. E senza testimoni.