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Ogni 23 maggio, come donne e uomini di questo Paese, abbiamo il dovere di fermarci e ricordare. Perché la memoria non è un esercizio retorico, ma un atto di responsabilità collettiva.
Nella Giornata nazionale della legalità, il pensiero va, prima di tutto, alle vittime della strage di Capaci – ai giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro - e a quelle della strage di via D’Amelio, dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
A loro dobbiamo non solo il ricordo, ma l’impegno quotidiano per un Paese più giusto, libero da ogni forma di sopraffazione mafiosa. Le mafie non sono un problema del passato, e non sono un fenomeno confinato in alcune aree del Paese: dove c’è illegalità, dove si sfrutta il lavoro, dove si negano diritti, dove si alimenta l’economia sommersa, lì le mafie si annidano e prosperano.
La legalità, per la Cgil, si costruisce soprattutto con il lavoro di qualità e i diritti. Siamo convinti che contrastare le mafie significhi prima di tutto costruire alternative: lavoro stabile, dignitoso, tutelato. Dare opportunità ai giovani nei territori, sottrarli alla scelta obbligata tra emigrazione o illegalità. La mafia si combatte con la scuola, con la cultura, con il lavoro: con strumenti concreti di riscatto sociale.
In questo senso, la legge La Torre-Rognoni, che ha introdotto la confisca dei beni alle mafie, è una conquista di civiltà. Il riuso sociale di quei beni non è solo risarcimento simbolico alle comunità ferite, ma può e deve essere occasione concreta di occupazione, sviluppo, solidarietà. Un modo per restituire a tutti ciò che la criminalità ha sottratto.
Come sindacato, abbiamo il dovere di essere sentinelle della legalità in ogni luogo di lavoro, in ogni territorio. Dobbiamo chiedere che si agisca contro i reati spia, come l’abuso d’ufficio, l’evasione fiscale, che si metta fine a tutte le forme di sfruttamento sul lavoro, ad iniziare dal caporalato. Significa denunciare, stare accanto a chi lo fa, non voltarsi mai dall’altra parte. Ma significa anche lottare per un’idea di Paese fondata sulla giustizia sociale e sull’uguaglianza dei diritti.
Ecco perché i referendum sul lavoro e la cittadinanza dell’8 e 9 giugno parlano anche di legalità. Le battaglie che stiamo portando avanti con i referendum sul lavoro non sono solo vertenze sindacali: sono battaglie di civiltà. Cancellare le norme che hanno precarizzato la vita di milioni di persone, che hanno umiliato il valore del lavoro, significa restituire dignità, tutele, speranza. Significa rafforzare l’argine democratico contro ogni forma di ricatto, di sfruttamento, di illegalità. Permettere a chi vive nel nostro Paese da almeno 5 anni di essere cittadine e cittadini consapevoli e riconosciuti.
Nella giornata nazionale della legalità, ricordiamo chi ha dato la vita per un Paese più giusto. E ribadiamo il nostro impegno: il lavoro, i diritti, la legalità sono inseparabili. Solo così potremo costruire davvero un’Italia libera dalle mafie.
Lara Ghiglione, segretaria confederale Cgil
Alessio Festi, responsabile Politiche della Legalità Cgil