Il 17 maggio 1990 è una data storica, che vede finalmente la cancellazione dell’omosessualità dalla lista delle malattie mentali e la definizione da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità come “una variante naturale del comportamento umano”, alla fine di un cammino lungo e tortuoso.

Nei secoli, soprattutto con l’avvento delle religioni monoteiste, l’omofobia è stata imperante e le persecuzioni contro gli omosessuali incredibilmente crudeli. Esseri umani esposti alla gogna, castrati, impiccati, arsi vivi sulle piazze, rinchiusi nei compi di prigionia per il loro “peccato”, “comportamento contro natura”, “vizio diabolico”.

“Se uno ha con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna - recitava il Levitico (20:13) - ambedue hanno commesso cosa abominevole; dovranno esser messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro”. L’editto Cum vir nubit in foeminam condannava nel 342 d.C. “i sodomiti passivi a essere puniti con spada vendicatrice”. Il Non Patimur urbem Romam, promulgato nel 390 d.C., introduceva la pena del rogo.

“Cotti e abbruscati”, scriveva Dante Alighieri nel XV Canto dell’Inferno, riferendosi ai “letterati di gran fama d’un peccato medesmo al mondo lerci” (a condannare al rogo saranno ancora, terminato il Medioevo, gli Statuti delle città, da Genova a Bologna, da Firenze a Milano).

Nel 1791 l’Assemblea costituente francese abolisce la pena capitale per i ‘delitti senza vittime’: eresia, stregoneria, sodomia (“La sodomia - affermava il filosofo de Condorcet nel 1777 - quando non comporti violenza, non può essere di competenza delle leggi criminali”).

Comincia però a svilupparsi il concetto di omosessualità come malattia, una malattia della quale è meglio per la legge non occuparsi (“Se occorre da un lato reprimere severamente i fatti dai quali può derivare alle famiglie un danno evidente e apprezzabile, o che sono contrari alla pubblica decenza, d’altra parte occorre altresì che il legislatore non invada il campo della morale. (...) Il Progetto tace pertanto intorno alle libidini contro natura; avvegnaché rispetto a esse, come ben dice il Carmignani, riesce più utile l’ignoranza del vizio che non sia per giovare al pubblico esempio la cognizione delle pene che lo reprimono”. Con queste parole Zanardelli spiegava perché il progetto del Codice penale che avrebbe preso il suo nome non facesse menzione dell’omosessualità).

Gli omosessuali saranno di lì a poco il terzo gruppo - dopo ebrei, rom e sinti - a essere perseguitato, internato e ucciso nei campi di sterminio tedeschi. Il triangolo rosa era il simbolo di stoffa affibbiato sulla casacca degli internati nei campi di concentramento nazisti per omosessualità maschile, sulla base all’articolo 175 del Codice penale (il 26 ottobre 1936 Himmler costituirà, come parte della Polizia di sicurezza, l’Ufficio centrale del Reich per la lotta contro l’aborto e l’omosessualità. A capo dell’ufficio sarà nominato Josef Meisinger).

Così come il nazismo, anche il fascismo perseguiterà gli omosessuali, pur non contenendo il Codice penale Rocco una specifica normativa anti-omosessuali. Nel progetto iniziale del Codice, in realtà, era previsto un articolo (il 528) che puniva con la reclusione da uno a tre anni i colpevoli di relazioni omosessuali.

Alla fine, però, “la Commissione ne propose a unanimità e senza alcuna esitazione la soppressione per questi due fondamentali riflessi. La previsione di questo reato non è affatto necessaria perché per fortuna e orgoglio dell’Italia il vizio abominevole che ne darebbe vita non è così diffuso tra noi da giustificare l’intervento del legislatore, nei congrui casi può ricorrere l’applicazione delle più severe sanzioni relative ai diritti di violenza carnale, corruzione di minorenni od offesa al pudore, ma è noto che per gli abituali e i professionisti del vizio, per verità assai rari, e d'impostazione assolutamente straniera, la Polizia provvede fin d’ora, con assai maggior efficacia, mediante l’applicazione immediata delle sue misure di sicurezza e detentive”.

I metodi repressivi di cui si può trovare traccia negli archivi variano dal pestaggio all’uso delle classiche bottiglie d’olio di ricino, dal licenziamento se si lavora per un ente pubblico all’ammonizione (una specie di arresto domiciliare mitigato) sotto la sorveglianza costante della polizia, fino alla deportazione nelle isole o in remote località del Sud.

Terminata la terribile parentesi fascista, per tre volte in Italia (nel 1960, 1961 e 1963) si tenterà di far discutere un progetto di legge anti-omosessuale (nessuna delle tre proposte sarà mai messa all’ordine del giorno, tutte e tre decadranno col decadere della legislatura senza essere mai state discusse).

Nel 1971 viene costituita la prima organizzazione omosessuale in Italia (Fuori!) e nel 1972 si tiene nel nostro Paese la prima manifestazione di genere, organizzata dalla comunità gay con la partecipazione di attivisti provenienti dall’estero. Intanto alcuni partiti di sinistra si affiancano al Partito radicale nella difesa dei diritti Lgbt (nel 1982 l’Italia è il terzo Paese al mondo a consentire, con la legge 164/82, il cambio di sesso per le persone transessuali) e nasce ArciGay.

La legge sulle unioni civili e la proposta di legge Zan sono storia di questi ultimi anni. Una storia ancora da scrivere, con la consapevolezza che se tanto è stato fatto, tanto - ancora - rimane da fare.