Luciano Lama nasce al limitare della grande Via Emilia, a Gambettola, il 14 ottobre 1921. Racconta la mamma: “Alla nascita Luciano pesava più di quattro chili, aveva quasi tutti i capelli, era bellissimo. I suoi primi anni di vita li ha trascorsi un po’ qua e un po’ là, a seconda dei nostri spostamenti, come del resto Lelio. Luciano era un bambino vivacissimo. Più di una volta mi ha dato patemi d’animo perché non stava mai fermo, gironzolava per la strada, per le case dei vicini. Gli Anni Venti furono particolarmente duri per la nostra famiglia, e non solo per i frequenti spostamenti a cui dovemmo assoggettarci”.

Russi, Gambettola, Forlimpopoli, Ravenna, Sasso Marconi, Cesena, Castelfranco, Bologna. Queste le tappe della famiglia Lama, che segue in pieno gli spostamenti dovuti alla professione del capofamiglia Domenico.

Membro della 29a Brigata Gap, durante la Resistenza agisce nelle province di Ravenna e Forlì. Racconterà Sergio Flamigni: “Fu allora che, tramite i regolari collegamenti dell’organizzazione, Luciano Lama chiese di venire con noi per combattere i tedeschi e i fascisti. Toccò a me esaminarne la biografia. Ci eravamo dati la regola che prima di ammettere nei ranghi uno nuovo, dovevamo esaminarlo attentamente, assumere tutte le informazioni possibili. A presentarmelo e a garantirlo fu uno che conoscevo come un bravo comunista, un ferroviere, amico e collega del padre di Luciano”.

Continua Flamigni: “L’incontro avvenne lungo un grande fosso, in mezzo ai campi di grano, nei pressi di San Leonardo; era presente anche un altro compagno. Parlammo a lungo. Rispose a tante domande. Man mano che parlava e raccontava, conquistava la mia simpatia. Notai che avevamo le stesse aspirazioni, ideali di libertà e giustizia sociale, gli stessi gusti culturali che si nutrivano di umanesimo (...) In quell’incontro Luciano mi disse che aveva saputo da poco che il fratello Lelio era stato fucilato a Stia, assieme a numerosi partigiani fatti prigionieri dai tedeschi durante un rastrellamento in montagna; parlava angosciato e si capiva che oltre alle ragioni politiche e ideali per combattere i nazifascisti aveva quel conto aperto e pesante da regolare”.

“Lo conobbi - ricorda ancora Nino Larghi, ex funzionario della Camera del lavoro forlivese - quando comandava una formazione comprendente un centinaio di uomini dei gruppi di azione partigiana, i famosi Gap. Ricordo un particolare importante, che lo ebbe protagonista. Nel carcere di Forlì erano tenuti prigionieri una trentina di nostri compagni. Organizzare un assalto per liberarli sembrava un’impresa impensabile e impossibile. A Luciano venne un’idea: travestirsi da ufficiale tedesco, lui che oltretutto se la cavava bene con la lingua e, a ben guardare, aveva proprio l’aspetto di un tedesco. Assieme ad altri compagni, anch’essi in divisa, Lama riuscì a entrare in carcere. Successivamente mi raccontarono che, trovatosi faccia a faccia con il direttore del carcere, dapprima confessò la propria identità e dopo una accesa discussione lo convinse a liberare i detenuti”.

Quando le campane di Forlì suonano l’ora della Liberazione, il 9 novembre 1944, è a lui che il Cln affida la guida della Camera del lavoro. Il Congresso confederale di Firenze, il primo della Cgil dopo la Liberazione, si svolge dal 1° al 7 giugno 1947. Lama viene eletto, giovanissimo, vice segretario. “Non l’ho mai saputo il perché… l’ho chiesto a Togliatti, a Luigi Longo… l’ho chiesto a Di Vittorio. E ognuno di questi mi ha risposto così: «Ma che ti interessa di saperlo… l’importante è che lo sei diventato!»”.

Dirà Lama: “Cosa devo a Di Vittorio? Prima di tutto i ferri di un mestiere non facile. Il coraggio di affrontare la realtà, anche quella che non ti piace. Lo sforzo costante di non appagarsi della superficie, ma di vedere quello che c’è sotto le cose. Infine, l’abitudine a pensarci su, a non essere frettoloso nei giudizi, ma poi ad avere il coraggio di esprimerli anche controcorrente”.

Nel 1952 viene eletto segretario generale della Filc, la Federazione italiana dei lavoratori chimici. Un posto che si rivelerà di transizione, ma che lo vedrà tuttavia in prima linea nelle trattative sindacali degli anni della speranza, delle grandi migrazioni operaie, della trasformazione industriale del Paese.

Il 3 novembre 1957 muore a Lecco Giuseppe Di Vittorio. Il 3 dicembre, a un mese esatto di distanza, il Comitato direttivo confederale discute e approva le proposte dell’Esecutivo in merito alla nuova composizione della segreteria. Il processo di successione si conclude con quattro nuovi ingressi (Romagnoli, Scheda, Foa, Montagnani), due dimissioni (Lizzadri e Pessi) e due sostituzioni (Lama e Boni).

Per Luciano Lama la nuova destinazione è la Fiom. A capo dei metalmeccanici toccherà a lui fare i conti con i nodi politici e organizzativi che aveva indicato la sconfitta alla Fiat e indicare il bisogno e l’esigenza di un rinnovamento che passava per il graduale abbandono di una pratica contrattuale tutta decisa in alto e perciò troppo distante dalla condizione e dai bisogni dei lavoratori.

La battaglia sindacale si sposa con un clima generale di rinascita della politica di sinistra: le elezioni del 1958 segnano una crescita del Pci e lo stesso Lama viene eletto deputato nella circoscrizione di Bologna.

I rinnovi contrattuali del 1959 sono il primo momento nel quale alcune federazioni industriali - Fim, Fiom e Uilm su tutte - riescono a realizzare quella unità d’azione che determinerà avanzamenti tangibili sul piano economico e salariale. Per la prima volta viene rispettata la cadenza triennale del contratto che da allora, e per circa un ventennio, sarà sempre mantenuta salvo rare eccezioni.

A dare maggiore forza ai contratti del 1959 (per i metalmeccanici la firma è del 23 ottobre) ci pensa il Parlamento con l’approvazione del disegno di legge Vigorelli (legge 14 luglio 1959, n. 741) sulla validità erga omnes dei contratti collettivi.

A capo della Fiom Lama vive i fatti del luglio Sessanta e il Natale in Piazza dei metalmeccanici milanesi. Lascerà la Federazione nel 1962 per rientrare in segreteria. Al suo posto saranno nominati, caso raro, due segretari generali: Bruno Trentin e Piero Boni.

Il 24 marzo 1970 il Consiglio generale della Cgil lo elegge - per acclamazione - segretario generale della Cgil. A sostenere Lama nel suo cammino verso la guida della Cgil ci sono Luigi Longo e una parte non trascurabile del gruppo dirigente del Pci.

“Lo stesso Berlinguer - scrive Feliziani - nonostante profonde diversità politiche e profondissime diversità caratteriali, avalla la sua nomina. Le differenze si faranno sentire e saranno pesanti, perché le storie di quel romagnolo e di quel sardo quasi coetanei si intrecceranno per tre lustri: aperto e sorridente l’uno, chiuso e ombroso l’altro; tanto Lama è sanguigno, decisionista, talvolta irruente, tanto Berlinguer si mostra dubbioso, arrovellato, ideologico. Popolari come due rockstar, venerati dal loro popolo, quasi due icone della sinistra. Il loro rapporto si manterrà sempre sul piano squisitamente politico, mai su quello personale. Certo è che avallando l’ascesa di Lama alla segreteria della Cgil, Berlinguer accetta di avere come compagno di viaggio il più scomodo degli alleati: un moderato che guarda al ruolo del sindacato unitario come a quello di una specie di superpartito”.

Prosegue Feliziani: “La nomina di Lama pone fine anche a una sorta di tradizione non scritta tutta interna alla Cgil, quella del segretario generale autodidatta e venuto dalla gavetta. Da Giuseppe Di Vittorio, il geniale contadino pugliese di Cerignola che guida la Cgil dal Patto di Roma del 1944 fino al novembre del 1957, al fabbro genovese Agostino Novella, al vertice del sindacato per tredici anni, dal 1957 fino al marzo del 1970. Ventisei anni di sindacalismo nelle mani di due uomini venuti dal nulla, che si sono fatti da soli. E adesso tocca a lui, a Luciano Lama, una buona formazione scolastica, una laurea in scienze politiche e una «prepotente vitalità», come sottolinea qualche giornale”.

In anni caratterizzati dalla grande instabilità delle formule politiche di governo e marchiati da una crisi economica epocale, la Cgil di Lama opera soprattutto per l’approvazione di riforme strutturali in grado di mutare il volto dell’Italia e di attutirne gli squilibri sociali; da qui il sostegno a leggi fondamentali quali lo Statuto dei diritti dei lavoratori, la normativa sulla tutela delle lavoratrici madri e delle lavoratrici a domicilio, sull’istituzione degli asili nido e del Sistema sanitario nazionale, sulla parità tra uomo e donna in tema di lavoro a ancora su casa, fisco, trasporti, istruzione.

Nell’Italia degli “anni di piombo” Lama schiera la Cgil in prima linea contro il terrorismo. Arrivato al vertice della Confederazione poche settimane dopo la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, Lama vive con la massima fermezza possibile la stagione dello stragismo prima e del brigatismo dopo, dalla bomba di piazza della Loggia a Brescia a quella alla stazione di Bologna, dall’omicidio di Moro a quello di Guido Rossa, l’operaio e delegato della Fiom di Genova ucciso dalle Brigate Rosse il 24 gennaio 1979.

L’aver fatto del sindacato il “guardiano delle istituzioni” posto a difesa della democrazia italiana, l’ostacolo insormontabile per i terroristi, e l’aver contribuito in modo decisivo a sconfiggere la violenza attraverso la mobilitazione dei lavoratori e dei cittadini, rappresentò uno tra i suoi meriti principali.

Nel 1986 Lama lascia il sindacato e l’anno successivo viene eletto al Senato nelle fila comuniste (alle elezioni del 14 giugno 1987 è candidato per il Pci sia alla Camera dei deputati sia al Senato, risultando eletto in entrambi i rami del Parlamento). Torna così in un’assemblea legislativa dopo 17 anni (si era dimesso nel 1969 in nome dell’incompatibilità tra carica parlamentare ed azione sindacale). Iscritto al gruppo comunista e poi, dal 1991, a quello del neonato Partito democratico della sinistra, della cui nascita fu sostenitore e fautore, ricopre l’importante incarico di vicepresidente del Senato. Rieletto alle elezioni del 1992, dal 17 luglio 1989 al 1° aprile 1996 è sindaco della cittadina umbra di Amelia.

Muore a Roma il 31 maggio del 1996, il giorno della fiducia alla Camera al Governo Prodi. Una vittoria a lui dedicata.